sabato, aprile 28, 2007

vernissage


Jenny Saville

(setole di martora amare e terra di Siena bruciata...) rotolo perplesso giù dalla festa, fino al tuo loft, con le tasche piene di tartine. Mi fanno schifo i loft e i pittori con i loft, ma soprattutto le pittrici, misogino per disgrazia, come tutti i pittori, e poi fa tanto biografia postuma. (sabbiare la tela, olio di noci, essiccativo, pazienza...). Guardo te, dalla serratura del pomeriggio, tirare su 200 euro a botta e sbuffare farina, ma con grazia da voyeur di passaggio, e il mercenario da 200 battute in corpo udici, che l'assegno non lo guarda nemmeno, lo arrotola e tira su. Tira su il bianco, me, le mie tele, lo specchietto, il tuo vestito volgare, le voci degli ospiti, quella cazzo di musica lounge, il mojito, le brochure, i cataloghi d'arte e le tempeste alogene di polvere che profumano tutta la stanza di menta e carta satinata, il tuo loft, gli inviti in carta 300 grammi, la transavanguardia, un trans, un mecenate magnaccia, le recensioni, i tetti di Trastevere, i sigari, i respiri, e quel dolore sporco che lavo via con lo spritz. (la trementina, non è l'odore dell'arte...) Il dolore è come la puzza, non passa mai veramente, ti ci abitui, e alla fine ti sembra di non sentirlo più. Questo almeno finché non ti volti, e vedi tutti quelli intorno che si tappano il naso (merda d'artista).

(firma in basso a sinistra, come da contratto)

Roy Hobbs


martedì, aprile 17, 2007

l'anticipo



pensavo, piantato nella marmellata grigia dell'asfalto, che se mi avessi visto li, immobile, guardarti a passo uno, incapace di perdonarmi almeno quanto frugarmi nelle tasche, e ricordare in una manciata di graffi, che tutto il tempo che non ho passato a disegnarti è stato tempo perso. Se mi avessi notato così, vestito male, come si conviene ad ogni stupore ingessato, te ne saresti accorta, che il silenzio, dell'addio, era solo il contrappunto. Se ti fossi voltata un attimo prima, forse, sarei ancora li. Ormai apparteniamo agli sguardi , alla memoria e a nient'altro.


martedì, aprile 10, 2007

eleonora


Jan Saudek

Non ci sono cazzi, questo pomeriggio sa di aringa e cognac, come le notti insonni che passai a Sévres sotto casa di Eleonora, prima di vederla uscire dal portone vestita da cagna e al guinzaglio di Stirling saint Paul che la portava al parco a pisciare. Fu li, nel sedile posteriore della vecchia Peugeot che imparai ad aspirare i sigari, a gustarne il fango avana nei pomoni e a fare in modo che l'alba fosse guazza come una biacca. Mi avvelenavo i pensieri con il mercuro cromo e la gelosia, perché quando pensi di avere le corna, la cosa più strana di tutte è che in fondo, nel dubbio, speri di avere ragione. Quella mattina barcollai verso i suoi piedi, ragliando come un alce. Gli avevo chiesto con la bocca nel fango, e strisciando sul suo cotto di Carrara color salmone come un verme , se era da tanto che andava avanti, se lo amava, e se ce lo aveva più grosso del mio. La pedinavo come un morto, con le mani nelle tasche della giacca di velluto a coste, e degli occhiali da saldatore sugli occhi pesti. Li avevo spiati ovunque, in un bistrot dove si vedevano il pomeriggio dopo le prove dello spettacolo, e al cinema Rivoli, dove, nelle ultime file mi umiliavo con le unghie nei palmi, mentre loro si contorcevano come circensi rumeni coi sottotitoli sullo sfondo. Scesi l'ultimo gradino della vergogna in ottobre, spiandoli nei cessi di un locale dove lui rantolando e lasciando strisce da lumaca sul suo collo, con un occhio la guardava spalancare la bocca e tirare fuori la lingua nel vuoto, e con l'altro leggeva numeri di telefono e messaggi scritti a pennarello poco sopra lo scarico, io invece, nascosto in quello a fianco ogni tanto salivo sulla tavoletta e li guardavo sbattersi dall'alto, e mi riempivo la bocca di carta per non farmi sentire gridare. Avevo anche comprato una pistola da un tizio curvo e scavato a Rue de Criville, li avrei aspettati dietro l'alba per poi sparare a salve, per educazione, non per altro. Invece, fui solo capace di pisciarmi nella mimetica riempiendomi gli anfibi come due boccali, e spirare il suo nome mentre mi rideva addosso, senza sangue, né resto. Non ci sono cazzi amici miei, i bei tempi andati a volte rigurgitano latte cagliato, e questa notte sa di aringa e cognac, proprio come allora, a me invece, non resta che aspettare che si apra il portone.

giovedì, aprile 05, 2007

out


John Mc.enroe

nessuno gioca sulla terra rossa così, non se lo aspetta di vedermi scendere a rete come una furia, gli rubo il tempo entro un metro e mezzo nel campo e gioco a ping pong. La terra sotto le scarpe mi da fastidio, devo tirarla via con dei colpi sotto la suola, ma quanti chilometri ho fatto fin qui? E chi nse ne frega poi. Mi guarda senza espressione tira legnate e basta, ho più talento io nel dito mignolo che lui in tutto il corpo, ma quanto corre? La risposta arriva prima ancora che abbia finito di servire, perche io già so dove mettere la palla, se voglio la metto su una moneta, volete scommettere?..da ragazzino ne ho vinte tante, una volta cento dollari c’ho vinto… Mr. Scrabbs gridava “Mettila qua John!” e piazzava una moneta da un quarto di dollaro dall’altra parte del campo.. E quest’idiota che chiama fuori, fuori cosa? Testa di cazzo, lo sai o no con chi stai parlando, lo sai o no cosa hai appena fatto, un colpo più bello di questo, non capiterà più, non capiscono, non sanno. Il colpo perfetto, il game perfetto, la partita perfetta questo stò facendo oggi è questo che cerco da una vita, ne parleranno per anni e diranno “quell’irlandese pazzo è il più grande tennista di tutti i tempi”. Non si gioca sulla terra rossa così, non si impugna la racchetta così, non si guarda il campo così con le spalle dritte, non si insulta il pubblico, non si sputa al giudice di sedia, non si distrugge la racchetta, non si serve così, con quelle curve ad uscire rubate al baseball e a qualche dio della balistica, non si tira con la sinistra, perchè i mancini sono figli del demonio, e Scotty Powell che mi spaccava la faccia fuori da scuola e mi pigliava per il culo perché sono roscio, rosso come un riflesso, ma non ho mai pianto io. Nessuno gioca come me, perché non sono stato ad ascoltarvi. Devo rubargli il tempo, entrare un metro e mezzo nel campo, la terra sotto le scarpe mi da fastidio, se solo ci fosse l’erba.