di poca poesia, ed altri uomini ammaestrati
Jan Saudek
Alessandra c'aveva le tette più grandi di Roma. Quando passava sul ballatoio, era come una danza sott'acqua, mi pareva che insieme a lei ballasse anche tutto il resto. Le sue tette erano bianche come il latte, pesanti e leggere, enormi. Ogni volta che mi incontrava mi sorrideva, e le sue lentiggini mi rubavano il respiro, poi, mi passava la mano tra i capelli e mi diceva “se mi sposi, io ti aspetto...” e se ne andava ondeggiando il culo come un altalena. Alessandra c'aveva i capelli rossi e pazzi, la gente si voltava per strada a guardarla. Mio zio Aurelio distrusse una lancia Ardea appena uscita dalla fabbrica per guardargli quel miracolo ansante. Si dice che sia rimasto li, in mezzo al vapore con un palo della luce piantato nel radiatore, nel suo vestito color cachi e con un sorriso felice, per sempre. Alessandra faceva la puttana, che non ho mai capito bene cosa volesse dire, almeno fino a quindici anni, perché quando lo chiedevo mi madre abbassava lo sguardo e mio padre diceva “tu non devi fare domande, stai zitto e ascolta”.
L'onorevole Malagò invece, mentre scopava parlava, come tutti i fascisti. Alessandra invece ascoltava, come tutte le donne. Gli aveva ammazzato il fratello partigiano alle Fosse Ardeatine e teneva nel portafoglio una foto in cui, in posa da caccia grossa, poggiava lo stivale nero sulla testa di una preda ricoperta di calce viva. L'onorevole Malagò, ringraziando iddio veniva subito, come tutti i democristiani, e un pomeriggio di aprile gli lasciò in eredità il nome di tre sottosegretari all'edilizia corrotti e una sfilza di nomi di morti mischiati al cemento nelle fondamenta di un albergo a 100 piani nella provincia di Bari. Questo, insieme ad un infarto nel bel mezzo di un pompino, lo tolse dalla vita politica, e lo costrinse a farsi imboccare per il resto dei suoi giorni. E allora capii cosa intendeva mio padre quando una sera mi disse, con gli occhi sui larghi fianchi di mia madre, che la vendetta è un piatto che va servito a letto.
Mio padre a puttane ci andava, e si vestiva come se dovesse andare alla festa del santo patrono “Ninè, c'ho la briscola stasera” sorrideva immerso in una nuvola di acqua di colonia e mia madre rispondeva sottovoce “ e io c'ho 'no stronzo 'n casa...” Mio padre era un tipo strano, ha passato metà della vita sotto un cappello, diceva sempre che un uomo senza un cappello non è un uomo. Secondo me, un uomo senza un cappello non sa dove nascondersi, ma questo, non glielo ho mai detto. Lui voleva fare il sindacalista delle mignotte, anche se “operatrici del piacere” gli pareva più dignitoso. Forse più per lui che per loro. Quando tornava dalla “briscola” lo sentivo fischiettare per le scale, mia madre lo aspettava in piedi, e gli diceva “vatti a lavare ” poi, come ogni volta, si rimetteva a pregare, bestemmiando. Una mattina di febbraio mio padre mi infila un cappello in testa, mi obbliga a lavarmi i denti e mi fa il bagno nell'acqua di colonia, poi mi dice “Oggi, vieni alla briscola con me”. Era il mio quindicesimo compleanno, e quel giorno, odora di lavanda e borotalco.
L'onorevole Malagò sbavava da un lato e non muoveva più un braccio, ma aveva molti amici potenti e con molta memoria, come tutti i mafiosi. Venne a prenderla il maresciallo Lapisarda, quello con la faccia da panettiere e due appuntati con le strisce rosse sui calzoni. Mia madre con la testa piena di bigodini gli chiese intirizzita sul ballatoio "Che ha fatto?" il Maresciallo Lapisarda che a puttane non ci andava, ma la moglie la sfasciava di botte perchè la famiglia è sacra rispose “Puttana passi, ma puttana e comunista no”.
Oggi ho quarant'anni, e non mi sono mai sposato. Ogni volta che vedo una ragazza con i capelli rossi, mi fermo senza respiro, e aspetto.