giovedì, novembre 30, 2006

toner


Joe Sorren

Avevano pranzato insieme, come tante altre volte. Lui teneva le sue parole in tasca. La cartuccia del nero aveva dato i numeri in mezzo alla mattinata, sostenendo che certi salassi erano inumani, Perciò, i caratteri, viravano a piacimento dal blu al viola passando per un pavido giallo cedro libanese senza soluzione di continuità. L'aveva portata con se tastandosi la tasca di tanto in tanto per sentirne la consistenza attraverso le coste del velluto. Era seduto ad un buon tavolo, con una bella minestra con vista sul mare. Mangiavano così, scambiandosi pensieri leggeri in times new roman, più spesso in arial, senza grassetto, troppo volgare il grassetto, un tono di voce sgradevole avrebbe rovinato tutto. L'attesa come sempre, si consumava nell'emozione della mail in arrivo. Lui inghiottiva in mezzo a un riflesso azzurro, e per assoluta ingordigia leggeva le prime due, forse tre righe del nuovo racconto. Pigiava sicuro sul tasto stampa, poi, annusava il foglio appena partorito e aspettava che gli schizzi e i segni di inchiostro, separati da qualche virgola e punto, diventassero il suono della sua voce. Quella che non aveva mai sentito. Il pollo era ottimo, anche se, per convincerlo aveva dovuto raccontargli una storia assurda su un paradiso di crusca, semi di girasole, mais e galline nude e lascive senza una piuma addosso, ma alla fine cedette e si lasciò ingoiare insieme ai funghi surgelati e una strana baguette ricurva come un anacardo. Il foglio era ancora aperto sul tavolo, quasi completamente bianco e aspettava con un angolo piegato tra le briciole e un posacenere di plastica. Lui aveva finito tutto ormai, bevuto il caffè amaro e staccato come al solito l'etichetta della minerale sciolta tra le gocce. Aveva anche fatto un rotolo con il conto, e vi aveva soffiato dentro almeno cinque “perché”, tutti in ordine crescente, intonati in fa e senza diapason. Il numero di telefono era stampato in mezzo alla pagina, in thaoma, o forse in verdana. La sfumatura di colore pareva fosforescente adesso, il che, lo aiutò a digerire, ben oltre il limoncello e gli scacchi della tovaglia. Mosse l'alfiere, Sfilò il cellulare dalla tasca, e compose il numero. Il sorriso all'altro capo era una voce. La miriade di lettere, tra virgole e punti, tornarono a farsi schizzi d'inchiostro.

domenica, novembre 26, 2006

lullaby


Lucian freud

ore 23:00 “sul fianco destro”
gli sgorbi sulla parete sanno che tremo, hanno i miei pensieri al guinzaglio e le voci metalliche dei morti, con un gessato nero e la pazienza consumata nell'attesa, in un cambio di respiro, nella saliva inghiottita, seduti intorno, perché è l'ora del giudizio tutto intero, così nudo nelle mie palpebre scosse, negli scatti delle gambe, piccole inutili fughe.

ore 02:00 “sul fianco sinistro”
è l’ora della notte senza riposo. Relitto affondato sul lato del cuore, nelle pieghe, piano, che non si fermi. Senza un sussulto, ad un palmo da un bicchiere di sete. Dal libro di ieri, da te. Sogno.

ore 04:00 “a pancia in giù”
spalle alla notte. senza rispetto. i sogni sotto il letto. Il cuscino vuoto. Il segno della tua testa. della tua assenza. Il ticchettio del mio coccodrillo. la sveglia nella pancia. il tempo che non passa. i piedi scoperti. le unghie nei palmi. un unghia di luna. una multa non pagata. insonnia.

ore 06:00 “a pancia in su”
gli occhi a un cielo di stucco, il testosterone mi sussurra perché sono al mondo, io non ricordo. Non ricordo I nomi dei figli che non avrò, e chi li amerà per me, al posto mio. Del mio bicchiere d'acqua è rimasto il segno del sale, un solco di fame, la risacca nel vetro. Il piacere fa quello che deve fare, e neanche stavolta divento cieco. Buongiorno un cazzo, mi alzo.

mercoledì, novembre 22, 2006

la mazzancolla assassina

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Gary Kelley

Al telefono, verso metà mattina, lei, aveva detto di voler pranzare insieme e di avere una gran voglia di pesce, e a lui, senza preavviso con un fischio, erano tornate in mente le parole di suo nonno che una volta gli disse “Nipote mio adorato, ti risparmio tutte quelle menate sulle api e i fiori, anche perché se lo facessi, alla tua prima erezione penseresti che tuo nonno era uno stronzo, Per cui, delle donne ti dico una sola cosa, quando una donna ti dice che vuole mangiare pesce, in realtà vuole mangiare pizza, e si aspetta che tu le dica che vuoi mangiare pizza per vedere se capisci intimamente cosa in realtà desidera. Hai capito figliolo?” “no.” “beh, aspetta di avere l'età per offrire un pranzo e poi ne riparleremo, così capirai anche perché non esco mai a cena con tua nonna.” Pizza! Si disse sorridendo, faceva freddo, e pioveva anche, e allora pensò di prenotare in un posto romantico, con una caminetto e con un cameriere vero, di quelli con il tovagliolo sul braccio, a cui, non visto, avrebbe disegnato dei baffi con la biro per rendere tutto più credibile, e che avrebbe portato i piatti tenendoli in equilibrio e possibilmente danzando sulle punte. Pensò tutto questo con un misto di emozione e soddisfazione senza nessuna ombra di dubbio o incertezza. Lei, arrivò con le guance leggermente rosse per il freddo e un passo leggero, gli stampò un bel sorriso sulle labbra e poi sistemandogli il nodo della cravatta gli disse “ allora, dimmi, dove mi porti a mangiare il pesce?” Lui, deglutì lo gnocco di insicurezza che gli si era piantato nel gozzo non appena lei era scesa dall'autobus, su cui campeggiava la pubblicità di una enorme trota salmonata per tutta la lunghezza del 64 barrato che era spiccicata a suo nonno, con l'unica differenza che la trota aveva i baffi, e balbettando soffiò “da Giggetto er Pescatore, fa delle meravigliose mazzancolle al vino bianco, abbiamo un tavolo prenotato tra mezz'ora, amore...” lei, sorrise dolcemente, e si incazzò.

lunedì, novembre 13, 2006

la valigia

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sottotitolo "Noir con il trucco"


L’assassino sono io. Ve lo dico subito, così, tanto per cambiare la storia dei gialli, potete anche cercare per una vita non ne esiste uno con questo inizio in tutta la letteratura noir. Su questa geniale intuizione e sul fatto che non ho lasciato impronte digitali perché non ho le mani si basa la storia che sto per raccontarvi. Tagliare a pezzi qualcuno nella vasca, sarebbe il minimo, il vero problema è il sangue, non va mai via. Lei adesso è scomodamente chiusa in un trolley rosso vermiglio che ho vinto con i punti della benzina. Da una apertura nella lampo esce un alluce con attaccato il cartellino dei voli internazionali , se non fosse per quell’orribile smalto alle unghie potrebbe quasi essere divertente. Poco fa, sembrava una voce da dentro e diceva che tagliare a pezzi una contorsionista è un vero delitto. Adesso esce una mano e mi chiede da bere, ha un grosso anello, non lo avevo notato. Le passo un bicchiere di assenzio, poi, la chiudo saltandoci sopra. Qualcosa non ha funzionato, doveva essere il mio numero migliore, dichiararmi così, con la tuba sulla fronte ed il parrucchino in tasca, in un balbettare di carte truccate, forse, non è stata una grande idea. ( E quello che segue signori miei è un Flashback) : “Busso alla porta con la bacchetta magica, tu apri in frack corto ed autoreggenti, ,e mi pare, due orecchie da coniglio. Ti mostro il mio mazzo di fiori sbucato dal nulla, ma la plastica non profuma, poi, tu cominci ridere, allora cerco di asciugarmi la fronte, prendo un fazzoletto dalla tasca, e tiro e ne escono due e un altro e poi un altro e un altro ancora, annodati all'infinito come una formula magica, e tu ridi, ridi ancora, allora inghiotto l'emozione e cerco di dirti che ti amo e invece delle parole, dalle mie labbra a culo di gallina escono palline da ping pong, una, due, tre, poi quattro e rimbalzano per il pianerottolo e poi giù per la tromba delle scale. Tu sei alle lacrime, piegata in due dalle risa, non ne sento più il suono ma vedo il tuo petto sussultare e il ciondolo a forma di cazzo sparire in mezzo alla carne. Tento un colpo ad effetto, mi apro il gilet proprio sotto il papillon e credo di mostrarti il cuore, ma dal taschino una colomba bianca sorride e mi caga sulle scarpe di vernice da 20 dollari sbattendo le ali. Stai singhiozzando, pregandomi di smettere, mentre nascosto dietro ai baffi disegnati con il lucido da scarpe ti indico tra le dita agili quello che credevo un re di cuori, ma è un mazzo truccato e delle picche, non sai che fartene, e io, cazzo, ho finito gli abracadabra. Poi, mi accorgo che nella manica è rimasta solo la sega. Mi spiace baby, non mi resta che il gran finale.” Il sangue non va mai via, ho due chiazze blu sotto le ascelle e strade di passi rossi per tutta casa, ripensamenti coagulati. Sul giornale di scena che strappo e ricompongo magicamente all'infinito, e stavolta senza applausi, leggo “Mago impazzito, taglia a pezzi la sua valletta” strano, non ci avevo mai fatto caso. Suonano alla porta, sono venuti a prendermi credo. Saranno state le grida, o le infiltrazioni rosse al piano di sotto, o forse è la sua bella testa bionda che ho messo nella gabbietta del canarino fuori dalla finestra, che da ieri canta “Tu n'as plus dolores” con la voce di Aznavour, non so. Ma qualcosa scappa sempre, un dettaglio, quello che dimentichi o che vuoi dimenticare. Il delitto perfetto non esiste, come la magia d'altronde, i miei cappelli infatti sono pieni di conigli morti.

mercoledì, novembre 08, 2006

toyland

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La cosa peggiore è essere figlio di un chimico, mio padre era chimico, non è che non mi volesse bene mio padre, solo che aveva un modo tutto suo di vedere le cose, è difficile confidarsi con una persona che crede intimamente che l'amore sia chimica e che se soffri come un cane perché la persona che amavi è scappata a Quebec City con un circense che riesce a farsi il nodo alla cravatta con i gomiti e va a lavoro con un monociclo, la cosa migliore che puoi fare è cambiare la formula, magari aggiungendo del sodio ionizzato. Una volta, mi portò nello scantinato dove aveva il suo laboratorio, e mi mostrò un piccolo alambicco chiuso in una teca di vetro dove gorgogliava un liquido denso e rossastro. “Ecco”, mi disse, “questo è il mio amore per tua madre, come vedi lo tengo al sicuro, protetto, è una formula perfetta, va curato e mantenuto, è li che bolle da 22 anni figliolo”. Quando una settimana dopo scoprì che mia madre lo tradiva da 11 anni con Harpo, lo shampista per cani di Oz Road, ma soprattutto quando si rese conto che non avevamo nessun cocker, corse giù per le scale nello scantinato e si chiuse dentro e non ne uscì per settimane nel vano tentativo di correggere la formula chimica della sua vita. Un mercoledì di giugno, mentre me ne stavo chiuso in bagno a testare l'effetto della forza di gravità sui liquidi organici immerso nell'ansimante lettura di “Capezzoli from outer space”, mia madre sulla porta di casa accompagnava il nostro cane invisibile a fare l'ennesima messa in piega o forse una pisciata, e mia nonna dondolava in soggiorno guardando una soap dal titolo “Tormenta d'amore” la piccola casa bianca in cui ero cresciuto, il luogo della mia infanzia, i suoi odori, il gatto impagliato Sigismund, e soprattutto la mia collezione di riviste porno nascoste nella scatola dell'allegro chirurgo, saltarono in aria con un boato. Un fungo atomico color rosa culo si alzò nel cielo oltre i tetti per cento metri e più, in un tintinnio di alambicchi e vetro, e salutò l'estate togliendosi il cappello da cui piovvero detriti e pezzi di formule per settimane. Una densa coltre di cenere rossastra ricoprì Toyland come un manto di marshmallows, mentre collari antipulci e la collezione completa di “Bracchetti da riporto” vennero giù come pioggia, fin quasi a ferragosto. Un fall out che portò strane mutazioni genetiche. A mio cugino Theodor spuntò un punto G dietro l'orecchio e non potè più usare i cotton fioc. Mia madre lasciò Harpo e sposò in seconde nozze un Alano di nome Zeppo separato e con cuccioli con cui condivideva l'amore per le buche in giardino, i polpacci ben torniti e i polli di gomma, mia nonna smise di guardare “Tormenta d'amore” e aprì un una casa chiusa per la quarta età dove era possibile arrivare in ritardo agli appuntamenti e venire prima durante gli amplessi. Mio padre invece credo sia ancora li, sepolto nello scantinato a scrivere formule, a miscelare intrugli colorati a base di pirite di ferro, magnesio, dolore e maggiorana, a cercare una buona ragione, a scoprire che se hanno ragione, probabilmente, non sono mai troppo buone, a chiamare lo stesso nome per sempre, chissà. Io oggi ho 44 anni e dirigo la rassegna di cinema “Clitoridi dallo spazio profondo”, e vi dico che la cosa peggiore è essere figlio di un chimico, mio padre era chimico, e non è che non mi volesse bene sapete, solo che aveva un modo tutto suo di vedere le cose, se solo non avesse scritto tutto il testamento con l'inchiostro simpatico...

giovedì, novembre 02, 2006

l'uomo che sussurrava ai fornelli

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Divertissement all'aceto balsamico,
Prologo:

mentre come ogni mercoledì, mi dedico alla sperimentazione culinaria più spinta tentando per la dodicesima volta consecutiva di convincere un fagiano reale a guarnirsi da solo con l'aiuto dell'ipnosi (L'io del Fagiano – ed. La Faraona 24 €) Mi chiama la redazione del Gambero Rosso, chiedendomi di andare a Torino e scrivere un pezzo sul salone Internazionale del gusto. Siccome il Fagiano nel frattempo ha cominciato a farfugliare qualcosa sull'autodeterminazione dei bargigli, faccio la valigia e parto.

La giornata comincia al padiglione n° 5 dove ci sono i Laboratori del gusto, per uno scambio di esperienze e sapori, oggi l'argomento del giorno verte sulla zuppa nel cappuccino altrui, per cui ci dividiamo in due gruppi di 15 persone di cui metà con il cappuccino e l'altra con dei morbidissimi croissant, così, inseguo un ristoratore macedone con la sua tazza di cappuccino fumante per venticinque minuti, si arrende solo allo stand della cucina Finlandese, dove è in atto una interessante dimostrazione sull'efficacia degli chef surgelati nelle cene dell'ultimo minuto, (possono essere riutilizzati fino ad otto volte ndr). Nella sezione Teatro del gusto, è stato predisposto un anfiteatro di sessanta posti, dove gli chef spiegano “live” le loro “mosse”. Il giapponese Oira kendo dimostra come “schienare” un cinghiale senza ferire il suo orgoglio, e il russo Kudiakov, che con l'aiuto dell'armata rossa spina un capodoglio al cartoccio con il solo ausilio dei piedi e di uno stuzzicadenti di frassino. Da dimenticare invece il cinese kwen loong che ha eseguito delle mosse di kung fu utilissime (pare) per convincere i buoi tibetani a dare via il proprio filetto senza fare troppe storie. Ma apprendo anche come coibentare un controsoffitto con il lardo di colonnata al posto del catrame, e come usare mezzo chilo di pecorino di Fossa come contropartita in un rapimento, ma il clou è l'utilizzo della fontina e dei tomini come armi nelle guerre batteriologiche. Nel pomeriggio, mi rilasso con le proiezioni alla sala della Biennale del cinema gastronomico. Ho applaudito fino a gonfiarmi le mani il Film Polacco “tentacoli operai” una meravigliosa parabola sull'incomunicabilità del sapore dove due polpi vengono ripresi a camera fissa nella loro ultima ora prima di finire bolliti. Bravissimi gli interpreti ed in particolare il polpo di destra che si mimetizza con grande sensibilità. Molto bello anche “bargigli ad oriente” del coreano kim so wong, storia intimista di un gallo cedrone che riscopre il senso della vita durante una cena al Waldorf Astoria e riconosce sua madre (da cui era stato separato durante il regime comunista dei tacchini Ming ndr.) nel vassoio a fianco poco prima di essere mangiato durante una cena in onore di un magnate del fagiolo borlotto OGM. Stanco ma felice, Mi rifocillo allo stand groenlandese, succhiando avidamente un ghiacciolo di foca monaca e poi, chiedo numi su come cucinare al meglio il Padugno alla “Von Ribbentrop” senza che mi salti in aria il forno, e soprattutto La Boleana Di Mongivedro alla “Buscetta” senza dovermi costituire. Seguo la musica fino all' Area Concerti, dove, un quartetto d'archi e clavicembalo suona brani di Bach, Pergolesi, e Paechelbel con dei salami ungheresi al posto degli archetti e spartiti (originali) su fogli di culatello del 700, anche se, pura commozione mi coglie quando Paolo Fresu usa una scamorza affumicata come sordina nel bel mezzo di Spanish Sketches. A fine serata Sorseggio uno Scuro di Valsodda del 1998, e siccome una bottiglia costa come una maserati mi convinco (devo) che nel profumo vi siano echi di cannella, mosto di venuglia e olio per motori diesel, per non parlare del retrogusto di prugne della val Gomena, vaniglia di sauri, alluci di Monte Rubbiaglio e Crusaglie affumicate di Soverano, terra di siena e dado knorr, ma soprattutto una voce dal fondo della bottiglia dice che mi ama e vuole sposarmi.

Epilogo:
al mio ritorno il mio fagiano ancora non si è guarnito, ma in compenso mi ringrazia per avergli fatto riacquistare un po di autostima e una nuova consapevolezza di se e mi parla dell'Io diviso e della seconda topica. Mi comunica che rinuncerà a rifarsi i bargigli perchè ora si accetta per come è, e poi, salutandomi, vola verso nord dove si unirà ad uno stormo di germani reali surgelati.

noi non siamo quel che crediamo di essere, ma quello che mangiamo, o al peggio come ci siamo cucinati” Roy Hobbs, 1994.