venerdì, dicembre 29, 2006

silicosi


Joe Sorren "Cora"

Succedevano un sacco di cose allora, alcune le ricordo bene, altre meno. A Porta Metronia per esempio, c'era una puttana col vestito rosso, parlavamo a lungo, lei era una esistenzialista perplessa, e c'era sempre tempo per raccontare. Io gli spiegavo la teoria del nulla, teoria secondo la quale, una persona rimane seduta su una sedia (possibilmente di vimini), almeno finché qualcuno non la chiama, è pronta la cena o viene centrata da un meteorite. Questo ci dava il senso del vuoto allora, dell'ineluttabilità degli eventi, e ci suggeriva di fare sesso protetto, magari con un casco o in due stanze diverse, anche se più spesso, la visiera era alzata. Dopo, di solito, me lo succhiava, era bravissima perché non si sentivano i denti, e poi non voleva essere pagata, mi diceva “la cultura paga”, e così tradivo, ridevo e giravo con una vecchia ford senza cofano e sedile posteriore, avevo sempre almeno un pennarello nel taschino, perché capitava di dover disegnare qualcosa per terra, o sui tovaglioli delle trattorie, o di fare due baffi a un pomeriggio. Ma più spesso, con un monociclo, nelle sere d'estate, misuravo i giri di ruota nel cortile del palazzo, magari dentro una salopette con le fibbie lente, possibilmente su un filo sospeso, in equilibrio, tra la punta della matita e un ricatto esentasse. Succedeva che tu eri stronza e bella da togliere il respiro e quelle quattro parole che avevo, e che io invece, ero stronzo e basta. Succedeva che c'era il murales di via cervantes, quello con la mia faccia, quello che non ho mai finito. Succedeva che tu cucivi vestiti di carta a fiori con il filo di ferro, mentre aspettavi il mio ritorno dalle miniere di sanguigna, e la notte lavavi via il dolore e il rame dal palmo della mia mano, aspettando che il gatto nei polmoni smettesse di soffiare. Succedevano un sacco di cose allora, alcune le ricordo bene, il resto se ne va, portandosi via un pezzo di gioventù.

lo so cosa state pensando e probabilmente avete ragione, ma tutto questo sarebbe niente
se solamente voialtri mi aveste visto disegnare”

giovedì, dicembre 21, 2006

il sangue ed il mosto



“…lei fuma? fa bene. Una volta uno che conosco mi ha detto che ogni sigaretta è un ora in meno di vita. Mio padre fumava tabacco arrotolato dall’età di sette anni, trinciato fine, l’ho ucciso io che ne aveva 93. Lei capisce, mi fissava e poi guardava il respiratore e c’era anche un crocifisso che pendeva dalla parte sbagliata. Poi mi ha detto “non ce la faccio più” così l’ho baciato sulla fronte che sapeva di sale e ho staccato la spina. Mentre smetteva di respirare gli ho raccontato di quella volta, quando nel tufo umido e buio mi raccontava il sangue ed il mosto, con mani sagge e i gesti di sempre. Lei ha mai visto il vino bollire? Non credo, sono cose di ieri, come i passi dietro la porta e la spuma. Non mi sono mai fidato dei medici, ma soprattutto di Dio. Ha una sigaretta? Peccato. Sono stato io...”

giovedì, dicembre 14, 2006

il corpo ricorda


Francesca woodman

Ho avuto un altro corpo, altre mani, un altro ventre, altro sesso, un altro sapore sotto i denti. Ho avuto anche un altro odore, uno che non avresti riconosciuto, mi strusciavo agli angoli delle case e marcavo il territorio. Ho avuto un corpo di cane, perché volevo le tue ossa e i dubbi da crocevia, e uno da aviatore, per sapere cos'è una rotta a sud est e lasciarti una rosa dei venti in un vaso da notte. A te, non t'ho avuta mai, non ti volevo, nemmeno per un secondo, sovraesposta o coi bordi mangiati, davanti a un caffè, mentre stavi scalza sul mio petto, e mi chiedevi un figlio con la lingua nell'orecchio, sottovoce, coi tuoi bei polpastrelli da telegrafista e l'alfabeto nel vento. Ho avuto un altro corpo, altre mani, buone per farsi compagnia, buone per impastare pane, buone per tenere l'indice davanti alla bocca, buone per non dire. Che ti amo te lo dico adesso. Adesso che dormi con la testa in un soffio, sul fianco dei sogni, e sbuffi via le lentiggini dalle tue guance, ti amo, adesso che non lo sai.

lunedì, dicembre 11, 2006

surrenale


Ora, vi parlo di moi (pron. muà). Essere surreali non è un dono sia chiaro, è stare tra un quarto d'ora e l'altro, tutto qua e niente di più. Un pomeriggio da squilibrista come questo vale più di qualsiasi altro scherzo, potete credermi. L'illusione di chi non vive sul filo è quella di avercelo l'equilibrio,o che basti allargare le braccia, e volare allora? Si lo so, la solita vecchia storia della roba tagliata male, ma credetemi quando vi dico una cosa, non mi buco per avere idee migliori, come pensa qualcuno, io mi buco per morire, che a vivere perdendo c'è uno strano gusto salmastro, e poi, la vittoria passa, la sconfitta resta. Olà, un altra indecente emostatica alba verde ramarro, sono o non sono il mio eroe? Schiantato dal peso, dal ridere e dallo stemperar matite, dal voltarsi indietro e dalla cervicale, dal burro e dallo sperma, per non parlare della grafite nelle narici da minatore. Di moi, so anche altre due o tre cosette che dico a voi (pron. vuà), che fisso e strofino la moka per ore, in mutande, senza che ne esca alcun che, che aiuto le vecchiette ad attraversare la manica, che ho un berretto da aviatore e un brevetto da incerto, che impaglio i pomeriggi d'estate con il vimini e la gomma lacca, che sono ateo fino al midollo perché se Dio esistesse, mi dovrebbe più di qualche spiegazione, compreso il dirmi dov'è finito il mio scopettino da cesso, che leggo ossessivamente sul frigo l'ultimo post it di Camilla che recita colmo di passione più o meno “1 kg di pane sciapo, lo sciacquone perde non tirare la catena, torno per cena, tua... (pron. sua)” e, cosa determinante, che piscio tenendomelo con la mano sinistra, perché la coerenza la vedi anche in un vespasiano, magari senza tavoletta che fa più fico. Orsù, tiriamo due somme dunque e se tanto mi da tanto, vado in pari e m'accontento, e il resto, mangia.

lo so, ai più parrà tutto incomprensibile ed ermetico, ma ve lo giuro, sarà tutto chiaro e semplice non appena avrete unito i puntini da 1 a 123 con una penna biro, e a stomaco pieno.