venerdì, giugno 19, 2009

1943, remington


Robert Parkeharrison

alle tre in punto mi servono ostriche in un bicchiere di aceto. a me le ostriche sembrano orecchie, per questo mi danno il vomito. trovo bizzarro mangiare una cosa che mi sta ad ascoltare. e mi viene la nausea. il cameriere è chiuso in una corazza di alamari e passamano, tiene un tovagliolo sul braccio e mi parla in francese, io lo odio il francese. ordino un piatto edipico, tutta roba stantia. guardo il mare di catrame del rientro, l'asfalto si inghiotte un gabbiano nella risacca, le ali si incollano sui fianchi, e il rumore del mare si perde nella coda del casello. l'orologio da tasca ha una lancetta sola, conto i secondi, e ordino del fegato crudo, quello che mi rode, il mio. I B-52 carichi di uova, migrano a sud est per la riproduzione estiva, preferiscono i mari caldi, in attesa del grande splendore. nella bottiglia della minerale c'è un pesce rosso, fa le bolle per rendere il tutto più credibile, io faccio sculture con le molliche di pane raffermo. piccoli cazzi per lo più, e perfette palline avorio, tu li prendi tra le dita e ridi. il cameriere mi rabbocca l'olio, e lisciandosi un baffo di lucido da scarpe mi ricorda che a breve arriveranno le piogge di rame, che il cielo si sta coprendo perché ha freddo. verso la punta del faro, il vapore s'è ingoiato un pezzo di costa, e io sento odore di muschio e grasso di balena, mi metto a battere a macchina, ho una remington del 43 con valigetta. un orchestrina suona "Mr. sandman", un vento basso mi fruga nella patta come si cerca una moneta nelle tasche, ti conto le stelle nelle braccia, una via lattea stretta in un laccio di gomma. poi, ti pulisco il palmo con un tovagliolo, mentre l'orchestrina intona "se il mio ego dipendesse da te, avrei già vinto il Pulitzer". con un trucco leggero nella voce, mi dici che aspetti un figlio, ma che è in ritardo. e mentre tu sbucci un uovo con le unghie, nel guscio di carapace che poggio all'orecchio sento il rumore del male.

venerdì, giugno 12, 2009

discesa

Quando avevo otto anni, Enrico Berlinguer mi prese in braccio. E' stato il punto più alto della mia vita politica.

e una cosina da leggere, qui

P.S.

Mio padre, era iscritto alla sezione del Partito Comunista Italiano di Via Fortebraccio una sezione storica di Roma.
Mio padre lavorava all'atac, e anche mia madre. Erano iscritti alla cgil, e allora, attività sindacale e politica, erano assolutamente consuete e intracciate tra loro, per chiunque potesse e volesse fregiarsi del titolo di "lavoratore" e non solo. Ricordo le lunghissime notti passate a via delle Botteghe Oscure, ad aspettare che "Erichetto", nomignolo con cui gli operai e i compagni romani chiamavano Berlinguer, uscisse sul balcone a dare i risultati vincenti, stavolta. Perché il partito, aveva scrutinatori ovunque, un istituto di statistica segretissimo ed efficacissimo, una spektre bolscevica che ci dava vincenti tutte le volte di almeno sei punti, salvo poi scoprire alle otto di mattina, sfatti di sonno e proiezioni, che la DC aveva il 42 per cento dei voti, e che avremmo avuto l'ennesimo governo Andreotti. E allora tutti a parlare di brogli, di portaerei americane nel golfo di Napoli, e i più arditi vagheggiavano con toni da carboneria di un nuovo "Piano Marshall". In questo mondo, bellissimo, sembrava che tutti conoscessero Berlinguer, e che a tutti avesse detto qualcosa di importante e profondo da cabiare il corso delle loro vite. Alcuni avevano il papa appeso in camera, altri l'uomo ragno o superman, Matteo vergari in quinta elementare aveva Sandokan. Quando lo chiesi anche io, mio padre mi regalò un poster di Che Guevara, ed io mi accorsi della differenza solo in terza media. I miei, spesso, si scannavano fino alle due di notte parlando di compromesso storico, di moro, della DC, o delle brigate rosse, e del rinnovo del contratto agli "auto ferro tranvieri", in riunioni con vicini di casa che duravano fino all'alba. Nel 1978 fecero un viaggio a Mosca, e quando tornarono mio padre aveva visto il paradiso terrestre, e mia madre l'nferno. Io stavo li ad ascoltare, e muovevo la testa, profeticamente, da destra a sinistra cercando di capire, carpire e rubare Ogni tanto chiedevo qualcosa, e il più delle volte mi sentivo rispondere "stai zitto e ascolta", e allora tornavo con gli occhi bassi al foglio da disegno, come tutti i bambini. Negli anni, capii che quello "stai zitto e ascolta" era un imprinting, una consuetudine del fare politica nelle sezioni, alle feste dell'unità, nelle case, ovunque. La cosa che sentivo ripetere più spesso infatti era "compagno sbagli, non hai capito" che più o meno è la stessa cosa. E oggi che tutti hanno capito, non trovo nessuno capace di darmi una risposta, e pace. Mio padre faceva il servizio d'ordine alle manifestazioni del Pc, operai e lavoratori, che spesso anche rischiando in prima persona, facevano quadrato fisicamente e non solo, intorno a un partito e al suo segretario, perché poi, al momento opportuno, quando si doveva votare o sfilare o fare volantinaggio notturno con i fascisti nascosti dietro l'angolo, diventavano tutti coesi, uniti, convinti. Una volta lo chiamavano zoccolo duro, oggi per lo più li guardano dall'alto in basso, come quei parenti un po rincoglioniti, che non sai se invitare al cenone di capodanno, perché ti mettono in imbarazzo con le amicizie "bene". Mi ricordo questa manifestazione a Piazza San giovanni allora, avevo forse sette o otto anni, e mio padre riesce a far arrivare me e mia madre fin sotto il palco. Poi mi prende sotto le braccia e mi fa tirare su, fino al podio, dove Berlinguer mi prende in braccio e mi bacia. Mi aveva toccato. Non fui lavato per settimane, e portato in varie sezioni di Roma come un sacro cimelio, mi accarezzavano e mi toccavano, ma di miracoli, nemmeno l'ombra. Quell'abbraccio, quel bacio, è stato è stato il momento più alto della mia vita politica. Tutto questo, prima di vedere la fine del socialismo reale e del comunismo, nascosta li, dietro una salsiccia all'ultima festa dell'unità.