lunedì, dicembre 05, 2011

Johnny Weissmuller



Jhohnny Weissmuller era stato campione olimpionico, o qualcosa del genere. Poi un giorno gli era venuta la panza, e allora un produttore gli aveva infilato a forza un costume leopardato e un pugnale di gomma in tasca e gli aveva detto da dietro a un megafono “Strilla”. Jhohnny Weissmuller Agitava il ciuffo in bianco e nero mentre si dibatteva con il leone vistosamente sdentato alla terza visione del cinema Due Allori di Via Casilina 355. Al secondo ruggito scoppio a piangere dietro i pop corn, a singhiozzi. Mio figlio se ne accorge, e mi chiede “Perché?”. Le cose stanno così, arriva un circo sotto casa. Giravano per il quartiere con una Fiat 1.100 rossa e un megafono sul tetto, era il circo Zardoz. Nel manifesto attaccato ai lampioni, c’era un domatore ipertrofico che frusta alla mano, cacciava la testa calva nella bocca di un leone. In un altro, un gorilla incazzato teneva in pugno una che mi ricordava mia zia Pina, ma in brutto. Dei tipi con i baffetti e delle camice a quadri piantarono i picchetti, misero il tendonei, e da sotto il telo a strisce bianche e rosse fu tutto un ruggito, a tutte le ore del giorno e della notte. Alla mattina del sabato Ignazio Scarpa al Bar Ragusa, raccontava poco dopo la terza sambuca che il leone Astor era fuggito verso i fossi della marana, divorando per strada un custode, due monache e un tranviere della S.t.e.f.er. che smontava di turno, e che la polizia lo cercava per tutto il quartiere armata di fucili da elefante caricati con delle fantomatiche pallottole al mercurio. Allora, in preda a una febbre malarica della savana dissi a mio padre che volevo vedere i leoni. Mio padre disse che i leoni erano belli nella savana, a casa loro. Allora piansi tre giorni filati, e mio padre (bestemmiando) al quarto cedette per sfinimento, e perché mia madre gli disse che o mi faceva smettere di frignare o sarebbe saltata anche la copula natalizia. L'unica dell’anno solare, come da contratto. Il biglietto costava cinquecento lire, una settimana di paga, ma mentre facevamo la fila alla biglietteria, le grida dei leoni mi rivoltavano la pancia per l’emozione, e mi dimenticai di essere ormai, povero in canna. Poi entrammo. Un tizio con i baffi finti e un cappello a cilindro, prese a parlare, immerso nella segatura fino alle caviglie, nel microfono che fischiava. Sotto il tendone saremo stati al massimo in dieci. Riconobbi anche il portiere Briguglia con suo figlio Paolone, un ciccione che puzzava di salame e perdeva moccio dal naso. Dopo dodici rulli di tamburo apparvero nell'ordine: “Ciro il pagliaccio” che le prese tutto il pomeriggio sorridendo come un santo vecchio, “Bozo il Nano più alto del mondo” un metro e settantotto senza tacchi, Il “Trio scwartz” tre siamesi uniti per i polpacci che facevano la ruota più grande d’Europa, Il “Mago Smrtz” che segò in due quella della biglietteria rovinandola per sempre, “Shana La Donna Scimmia” una tizia di Matera affetta da ipertricosi che ingurgitava banane tra gli sghignazzi, e il gran finale con il trapezzista “Waldo il grande” che si schiantò in terza fila durante l’esecuzione de “Il Salto triplo della morte nera” morendo in nottata tra spasmi incontrollabili e atroci dolori. Alle diciotto mio padre mi trascinò via in lacrime, dei leoni, nemmeno l’ombra. Non avevo visto neanche una quaglia gigante, un orso ballerino, o un tacchino mannaro, ero disperato. Andando via, tra i singhiozzi mio padre alzò un lembo del telone e mi mostrò un altoparlante, attaccato ad un registratore da cui uscivano versi di animali registrati, ruggiti, barriti, ululati e ogni genere di suono della foresta. Il mio era uno psicodramma, arrivai a casa e non cenai nemmeno, mi addormentai guardando il manifesto di Tarzan contro le amazzoni,e mi accorsi per la prima volta che Jhonny Weismuller aveva la panza. In qiell’esatto momento smisi di essere un bambino, per sempre. Ancora oggi però, ogni volta che sento un ruggito, mi viene da piangere. Ecco perché.