lunedì, settembre 26, 2005

barnum

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­P.T.Barnum nasce nel 1810 nel Connecticut, da padre trapezista (sulle navi da crociera) e madre mimo, viene alla luce durante una sosta della nave “Alpaca” nel porto di Montpellier mentre i genitori provano il famosissimo “Carpiato Mc.Coy” che consisteva nel fare ben quattro volteggi in aria eseguendo, intrecciandosi con le gambe, un nodo marinaro. Alla morte del padre (insaccatosi in modo letale fino a raggiungere la ragguardevole statura di 28 cm. Cadendo in piedi dal trapezio senza rete) ereditò un circo delle pulci e un nano clown di seconda mano. Mise così in piedi il primo spettacolo itinerante, ma vedere il povero nano grattarsi come un bassotto con la scabbia non sembrava sortire risultati eclatanti nel pubblico. Nel Giugno del 34 durante la sua prima tourneè scrive queste poche righe alla giovane moglie “Cara Therese, il nano usato si stà rivelando un clamoroso flop, sono allo stremo e senza un soldo, quando il Sig. Mauherous verrà a chiedere l’affitto potresti mettere quella camicia scollata? Dio! È così frustrante, forse dovrei mollare tutto, domani ho un incontro con un certo sig. Mapple, sostiene di essere in grado di piegarsi in quattro e di spedirsi per postacelere fino in Cecoslovacchia al costo di una busta normale. Speriamo che non sia la solita bufala come quella del mese scorso, il tizio che sosteneva di camminare sulle mani in realtà non aveva le gambe. Ti amo, bacia il piccolo Robert , non depilarlo più ed insegnagli ad ululare, un figlio con l’ipertricosì servirà pure a qualcosa!” Nel 1935 il primo successo, Barnum incontra i fratelli Pollsky che avevano la singolare capacità di vivere uno dentro l’altro come una matrioska. Il numero comincia ad attirare pubblico, ed artisti provenienti da tutti gli Stati Uniti cominciano a proporsi all’attenzione di Barnum. Si aggiungeranno poi Il fachiro Hasshi che ingoiava cocci di vetro e defecava lampadine accese, Ugo Rebeffi detto l’uomo tapiro (o Ugo il pachiderma), affetto da una rara forma di labbro leporino riusciva a nutrirsi di sole formiche direttamente dal formicaio, anche se il colon irritabile lo costrinse a ritirarsi presto. La quaglia più grande del mondo e l’uomo computer (un ritardato dell’illinois che riusciva a dire la radice quadrata di otto facendo il passo dell’oca al contrario) riuscì a fare il miracolo, portando il circo Barnum a diventare il primo d’America. Nel 1936 al termine di una trionfale tourneè P.T.Barnum decide di dare un ulteriore svolta e dopo mesi di ricerche in mezzo mondo scova Jeremia Solmon detto “L’uomo Eterno” che dichiara di avere 200 anni, una foto lo ritrae con Buffalo Bill ad una cena fredda mentre mangiano degli arrosticini di bisonte, ed un altra ancora più incredibile lo mostra mentre spara ad Abramo Lincoln nel 1865. E’ un trionfo, ma I rapporti con la moglie cominciano a deteriorarsi, Barnum ormai non riesce più a fare l’amore se non in presenza della contorsionista Betty Russell. “mi suggerisce le posizioni migliori” ebbe a dire Barnum al suo avvocato divorzista, “Potrei sopportarlo, se solo non le provassero prima ogni volta” sostenne la moglie con i legali“e poi dovevo pure scioglierli”. Nel 1940 Barnum si sposa in seconde nozze con Anna Ridgley, donna cannone durante la guerra di secessione, il loro sodalizio umano ed artistico dura finchè la Ridgley non sbaglia mira e centra il capanno dei siamesi Berthold, (straordinario caso di fratelli uniti per le sopracciglia), separandoli irreparabilmente. E’ l’inizio della fine, un grave forma di alluce valgo ed una rivendicazione sindacale degli orsi ballerini , lo riduce sul lastrico. Ma quando una alopecia androgenetica fa spuntare la chierica all’uomo lupo, il dramma si compie. Barnum si ritira nel Kentuky, vivendo grazie alla vendita delle uova della quaglia gigante e alla compagnia fedele del nano usato Buster Logan che gli terrà compagnia fino alla fine. Barnum si spegne nella notte del 13 agosto 1955 in seguito ad un durone fulminante all’alluce destro, morì pronunciando la celebre frase “Buster, nella vita ho avuto successo, ho realizzato grandi cose, fatto sognare milioni di bambini. Una sola cosa non sono riuscito a capire…...........”

lunedì, settembre 19, 2005

lo strano caso di Gregorio S.

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Franz Kafka

E’ successo di nuovo, Gesù! Stamattina mi sono alzato e mi sono accorto guardandomi allo specchio di essermi trasformato in un insetto. Avevo già avuto dei dubbi giorni fa quando dopo aver visto uno zampirone ho cominciato a camminare sulle pareti. Ho cercato inutilmente di infilarmi un soprabito poi ,sfinito, prima decido di farmi un bozzolo a punto croce, poi mi copro con un lenzuolo a cui applico due fori per gli occhi. Alle ore nove suonano alla porta, vado ad aprire “Joseph K.?” “No, sono Gregorio S:” vengo così arrestato da due agenti di polizia che mi accusano di essere nel racconto sbagliato. Gli faccio presente che probabilmente è il contrario, “Giustizia Creativa” si giustifica l’agente Grosz. Penso che probabilmente il tutto possa dipendere dall’uso non proprio moderato della coccoina o alla bottarga scaduta di zia Ghertrud, (la settimana scorsa ho visto un bue muschiato nel mio salotto che leggeva “Essere e tempo” di Heidegger commentandolo con dei muggiti). Al processo malgrado tenti invano di dimostrare che c’è uno scambio di persona e che il mio nome è Gregorio S. e non Joseph K. svolazzando per l’aula, vengo alla fine condannato a morte per “appropriazione indebita di identità e racconto altrui”. La cella è stretta e piena di scritte sui muri, la più inquietante recita “Ora che l’ora è vicina mi rendo conto che essermi spacciato per il direttore della banca di Dresda non è stata una buona idea, ma giustiziarmi obbligandmi ad incollare la lingua al ghiaccio del freezer mi sembra mostruoso”. L’esecuzione sarà all’alba, mi verrà incisa la mia colpa con degli aghi sulla schiena e poi sarò obbligato ad ascoltare “Ottetto per pialle e controfagotti in si bemolle” di Arnold Schönberg indossando delle scarpe molto strette. O forse come già accaduto ad altri verrò costretto a leggere Carducci. Sapete non è tanto per la mia condanna, ma piuttosto perchè in questo momento Joseph K. è probabilmente a casa mia a finire il mio strudel. Pochi attimi di serenità quando mia sorella Agatha è venuta a farmi visita, “tieni” mi ha detto “sono dei pasticcini alle mandorle con delle limette per unghie all’interno", gli faccio presente che non riuscirei mai a segare le sbarre con quelle “ questo lo so, ma non vorrai morire con quelle mani?” Agatha è sempre stata la mia preferita, in uno straziante commiato ha tentato di uccidermi con uno schiacciamosche. Scrivo ai posteri su questo muro con un vecchio chiodo arruginito, che muoio senza sapere perché, in un corpo che non mi appartiene e soprattutto senza sapere cosa si prova a pagare l’ultima rata del mutuo. Mi consolo pensando che a breve avrò le risposte ai grandi quesiti dell’uomo, cosa c’è dopo, se è meglio del prima se c’è anche un durante e se si, dopo si può fumare? E soprattutto quanto contano i preliminari? Sulla mia lapide voglio che scriviate: “Se un giorno e Dio non voglia, cominciaste ad appallottolare sterco nel vostro soggiorno così senza preavviso, sarebbe il caso di cominciare a preoccuparsi ed in ogni caso, state lontani dagli insetticidi.
Post Scriptum,
Non cambiate i fiori nel vaso, sono di plastica”.

Questo straordinario racconto è stato ritrovato postumo trà gli effetti personali di Gregor F. Zaska, compagno di banco di Franz Kafka. Sotto le ultime righe un piccolo appunto recitava “Questo Kafka non mi piace, attacca continuamente delle cose sotto il banco, copia tutti i miei compiti ed ha una strana faccia, sembra un insetto stercorario

lunedì, settembre 12, 2005

il posto delle virgole

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Prologo: “..perchè a forza di cercare, ello non s’era avveduto ch’ avea già trovato…”
(Cavalier Scolapasta cap. 1 pag 1)

…Mi sono perso fra le righe, quello con la faccia da inchiostro e i denti macchiati di blu diceva che non era niente “torna al punto e poi a capo” ha detto. E il punto chi lo ritrova, io che forse i punti non li ho mai messi e le virgole le butto a caso come se mi pungessero nelle mani o macchiassero le tasche come le more d’agosto. I pensieri sono così, cambia una virgola e tutto crolla, ti sembra diverso incoerente e pure no. Mi senti mamma ? Non volevo rubare quella volta, il fatto è che certe volte se non hai le parole giuste la risposta sembra sbagliata. Mi sono perso tra le righe, è successo ieri mentre ti pettinavo e cercavo un punto interrogativo che non c’era, eppure lo avevo visto li, come un miraggio in mezzo a un pensiero da risveglio, di quelli che fai appeso alle ciglia e al tuo respiro solo. Un dubbio anche piccolo. E adesso che dico, che scrivo? Adesso che mi sono perso tra le righe e non ho briciole per tornare indietro, annaspo bella mia, annaspo tra i dittonghi, la sintassi e gli ossimori, volano bassi e fanno strani versi come i gabbiani quando sembrano bambini e non c’ho manco un armatura, basterà la matita? E se alzassi la voce? …io che in fondo vorrei solo disinnescare bombe alla crema. Vabbè bella mia, senti questa, te la suono con uno scolapasta in testa e senza punteggiatura.
(allegro con brio ma senza farsi accorgere)
gli archi sommessi in do diesis dovrebbero pizzicare le corde
(è una cosa a cui non sanno resistere). Il tenore, mimando un
armonium dovrebbe intonare gli immortali versi:

“Il silenzio è dei colpevoli
degli innocenti
le labbra appese ai pensieri
alle ciglia
La voce di dentro
che urla
nessuno sente
la mano sulla bocca
Il fango sulla lingua
La bugia tra i denti
Ridere di me
In silenzio
Mi senti?”

Epilogo: “Ello la amava. Dell’armatura, sciolta nello foco fece un batacchio novo per la loro porta di casa”
(Cavalier Scolapasta Cap 10, pag. 100)

venerdì, settembre 09, 2005

introspezioni

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"straordinario al Policlinico, trovata una pinza fuori da un paziente"

il declino di un uomo

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"ieri mi sono rotto i legamenti... giocando a dama."

lunedì, settembre 05, 2005

umidi piani sequenza

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Questo post è scritto fuori sincrono, cercando di tradurre l’onanismo notturno di Enrico Ghezzi (non ci sono riuscito…) ho capito che questo è l’unico modo per parlare di cinema, perché così nessuno può contraddirti ed il motivo è molto semplice, come contraddire qualcosa di cui non si è capito una beneamata ceppa? Sorridere e annuire please… Comunque eccovi le mie recensioni di questa sessantaduesima mostra del cinema di Venezia in cui mi sono aggirato con galosce e fegato…

Lo scacchista, del polacco Andreij Waslowitz è un interessante opera in cui l’uso del bianco e nero si alterna a quello della grappa (la camera a mano non era forse opportuna, disintossicarsi prima senz’altro si…) Ezra il protagonista è un ex campione di scacchi che vive in un tugurio alla periferia di varsavia e che si nutre di vecchie pedine ripassate in padella con scalogno e olio per motori quattro tempi. La semplice vita di Ezra viene sconvolta dall’incontro con una ex suora sfigurata dall’esplosione di una bibbia ed ora dedita allo spaccio dei corni di rinoceronte e dalla misteriosa scomparsa del suo amato alfiere in Palissandro. I due ritrovano un senso comune dell’esistenza rivoltando lapidi nel cimitero ebraico e suicidandosi in preda al rimorso inghiottendo dei mostaccioli giganti.Struggente la scena in cui Ezra ritrova il suo alfiere caduto tra il divano e il decoder di sky.

Entropia Bombata dell’indiano Jamiaj Badi è invece un opera complessa e piena di incastri. In un gioco di scatole cinesi Vijaii il protagonista (domatore di tapiri) intraprende un lungo viaggio verso la sapienza avvolgendosi nel filo spinato e leggendo Siddartha alla rovescia in presenza di uno strano figuro con un pallino giallo in mezzo alla fronte. Esperienze mistiche e suggestive come mettere la testa nella cesta del cobra senza suonare il flauto ma fischiando My funny Valentine (“Saresti così gentile da trovare un antidoto” è la batttuta più bella del film..) o tentare di mungere una vacca sacra vestito da dea Kalì fanno di questo film un piccolo capolavoro. Da segnalare la scena in cui Mowgli gli appare in sogno insieme a Shere Kahn e gli consiglia di aprire il cocco con un machete e di non inghiottirlo intero come al solito. Che ho detto?

Kebab? No grazie di Jahmahl Jahamal è il più sconvolgente dei film in concorso, girato con pochi mezzi (e si vede) e tanto amore (non si vede) interamente in bianco e nero con un quadro fisso di 23 ore consecutive riprende l’asceta Hemmull, che, seduto a gambe incrociate nel deserto del Gobi tenendo in una mano una pera e nell’altra un molare di dromedario, cerca il senso dell’esistenza e come costruire castelli di sabbia. Straordinaria la scena in cui il protagonista cerca di addentare un miraggio a forma di Cappone arrosto gridando “Colui che aspetta è saggio, ma una forchetta sarebbe gradita”. Fischi e morti apparenti in sala. 13 tempi sono pesantucci. Solido.

Le piegatrici di origami di Hiroshi Yamamoto è la conturbante storia di Sayaka, giovane aspirante gheisha, che trascorre le sue frenetiche giornate preparando il thè e realizzando origami a forma di antilocapra o di pagoda per il perfido Hishiku. Ma la sua passione è realizzare ideogrammi con pennelli di pelo di pube sul corpo del suo amato Tetsuya. Si amano in segreto e lui gli insegna come raggiungere un orgasmo utiilizzando il sushi ed un bambù, ma vengono scoperti perché lei dipinge sulla faccia del giovane la sua posizione preferita e come eseguirla senza farsi fratturare sei vertebre. Il perfido Hishiku scopre la relazione, Tetsuia si suicida per la vergogna con un pugnale, Hishiku si suicida per il disonore ingoiando un bonsai, Sayaka impazzisce per il dolore e si sucida ingoiando una katana e delle lampadine. La scena finale di rara e struggente bellezza mostra i tre corpi esanimi tra i mandorli mentre un origami a forma di cigno diventa un cappello da muratore. I tittoli di coda non ci sono perché sono tutti morti. Poetico.

Lussami l’anima di Ken Bloch è un delizioso musical che narra invece la storia dei minatori irlandesi e delle loro famiglie. Bob figlio di sam, vorrebbe fare il ballerino o il pugile, ma il padre lo vorrebbe con se in miniera. Mentre gli amici lo deridono e i nemici lo gonfiano come un santo vecchio Bob non demorde e pur scendendo in miniera, convince tutti i minatori, padre compreso a lavorare a passo di tip tap. Nella scena clou Bob e Sam si riconciliano dopo aver trovato una pepita grande come una palla da basket intonando “Dance, dance, dance”, ma la miniera crolla e muoiono tutti come topi. Mirabile affresco di un epoca e sullo sfondo le lotte per l’indipendenza irlandese e un tizio con la barba rossa. Epico.

giovedì, settembre 01, 2005

ottopermille

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Iersera, in una meditabonda ed afosa cena a casa di Q. mentre aspetto il secondo, indeciso se scoprire una cura per la stronzaggine congenita nelle commesse o intrattenere gli ospiti infilandomi delle cannucce nel naso, alla fine opto per uno sterminio sistematico e ragionato delle zanzare tigre e non (anche se verso l’una e un quarto mi convinco dopo il sesto morellino di Scansano, di averne scoperta una nuova specie che porta sul dorso lo stemma dell’AVIS). Sfinito ed esangue mi dedico ad un distratto zapping mentre gli ospiti fissano una falena che frigge nella zanzariera come i re magi la cometa, decantando la bontà di certa “robba” spedita da un caro amico (detto Narkos) che uscirà dal carcere di Marrakech solamente nel 2070, quand’ecco che mi illumino di mmenso nel mezzo di uno spot dove un prete con la faccia da apostolo-operaio-pugile che lavora nel carcere di latina mi invita a donare l’otto per mille alla chiesa cattolica, con il solito Morricone-Mission in sottofondo. Combatto un attacco d’ansia in cui cerco di dimostrare che il cinema porno è cultura, poi mi riprendo. Ora Ammetto che in questi ultimi mesi ho rispetto a certe cose, tolleranza zero, ed una instabilità emotiva che mi ha spinto più volte a tentare di mettere a forza delle nike air ad un francescano, a tagliare di netto la barba di un pastore ortodosso alla prima di “Incesto e Rassegnazione” e se fossi più pudico vi ometterei volentieri il riempimento di una acquasantiera con del Gatorade sconsacrato a Santa Maria in Trastevere, ma poiché non lo sono mi offro al vostro giudizio, confessando che ho anche cercato di spacciare profilattici fuori da un seminario gregoriano a Belluno e che sono andato a Colonia con i papaboys vestito da Stalin in giarrettiera e frustino, ma resta il fatto che sono obbligato a dare parte dei miei soldi ad un tizio che non conosco e che lavora per un tizio che non solo non conosco, ma in cui non credo. Alternativa non meno trista, sarebbe destinarlo al governo italiano, presieduto da un serio candidato ad un onesto quanto prestigioso lavoro al circo Barnum come nano-clown e che, a parte il mio portiere (Ottone Severini ndr.), ha cercato di corrompere financo la befana ,che lo avrebbe denunciato, ma che si è vista soffiare la vittoria in tribunale per decorrenza dei termini poiché il novello Tatù (il nano di fantasilandia ndr.) della politica italiana sciorina “autoleggi” a raffica riducendo proprio la decorrenza dei termini per truffa, corruzione e collusione mafiosa ad un quarto d’ora dopo il reato. Ecco quindi a chi amerei destinare il mio otto per mille. Lo darei ad una persona che vive con una pensione minima ,o muore con una minima pensione, ad una persona che deve appoggiarsi ad un bastone per muovere passi incerti in un mondo senza protesi che va troppo veloce e non ascolta. Una persona che siccome è sorda non è che importi tanto se il mondo non ascolta e tutto sommato nemmeno se parla. Lo darei ad una persona che non mangia con denti propri, gli stessi che gli sorridono dal bicchiere sul comodino ogni sera prima di andare a letto. Lo darei ad una persona che ha più sopramobili e centrini che capelli in testa, una persona che usa le pattine anche in settimana bianca per farci la pista nera al Sestriere , una persona che continua a regalarmi le fave col pecorino pur sapendo che soffro di favismo, una persona che continua a chiamarmi Ermanno o Francomaria , mai Alessandro. Quella persona che vi legge le fiabe prima di mettervi a letto e poi si addormenta lei, sbavando sul vostro libro preferito, una persona in cui credo, che non fa miracoli, una persona che… insomma, Voglio dare l’otto per mille a mia nonna.