martedì, giugno 27, 2006

Il caso Rorschach

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“Da fastidio la luce?” “bene..” “qui sembra tutto a posto, l’occhio di suo figlio è sano Mr. Rorschach” “e allora come si spiegano le macchie dottore?” “Allora Hermann, Ripetimi esattamente cosa vedi..”

“mmmh, vedo anche che se ne vanno in giro senza il busto, farfalle porpora sopra la mia testa, un pipistrello nero fermo a mezz’aria, mi fissa e cosa assai strana, non parla. Perché i pipistrelli parlano vero?. Poi vedo graffiti di marmellata e sangue, una mano a sedici dita che conta tutti i numeri del mondo e una torre che buca le nuvole con un fischio, i denti della signorina Krueger stesi al sole, sorrisi di cui non mi fido. E un topo! Vedo un grande topo bianco che fa la danza del formaggio. Costole come tasti di un pianoforte, e vedo anche il culone della portinaia che canta e sbuffa in bemolle, e a volte, ma solo a volte, uno sguardo in maschera e il mondo da due buchi che pare quasi di poterlo toccare. Come quella volta che Vania s’è alzata la gonna e mi ha chiesto se ne avevo mai vista una, e di che? Domandai io prima di scappare con l’inguine stretto in mano e la faccia sporca di visciole. Ecco, una somiglia proprio a quella volta li. Poi vedo anche un pomeriggio d’estate sovraesposto e la polvere sopra lo sguardo di mio padre, ma il mio preferito è sanza dubbio il coleottero che ride di se…”

Al piccolo Hermann Rorschach, fu diagnosticata una Sindrome da creatività cronica. Se non curata la creatività si sarebbe ben presto trasformata in fantasia e la fantasia a sua volta avrebbe potuto generare un uomo libero. Benché allora si sapesse ancora ben poco della libertà e della fantasia, la medicina ufficiale trovò una formidabile cura praticando una piccola incisione nel lobo frontale, proprio sopra gli occhi. I genitori del piccolo Herman Rorschach, firmarono l’autorizzazione all’intervento, gratuito ed assolutamente indolore. Le “macchie”, scomparvero per sempre.

mercoledì, giugno 21, 2006

mancati appuntamenti

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Ore 18, 30, comporre lo 06/4567893, libero.

“Pronto? Vienimi a prendere, 19,30, sobrio possibilmente, rasato magari e lavati anche i denti. Levati quella bestia pelosa dalla spalla. Da osceni suggerimenti, inutili passi a ritroso. Ho grandi progetti, linee di fuga, senza vie di fuga. Porta testosterone e vino bianco e che ti si pieghino le ginocchia stavolta. Suvvia, fletterti non dovrebbe costarti poi molto, sarò un buon motivo. Promesso. Non tardare e abbi, tra i petali, gli occhi da prima volta. Voglio che crepi con la mia lingua impressa nella tua retina. Pensa la faccia del medico legale. Non resistere al pesto alla genovese, cedi alle trofie ma soprattutto a me. Ti cambio, ne ho bisogno. Vienimi a prendere, 19,30, e niente controfigure stavolta, mi raccomando.....
Come sarebbe a dire che ho sbagliato numero?”

giovedì, giugno 15, 2006

colloqui in senso vietato

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Fritz Hollmenn

“In un mondo perfetto, fatto di equilibri impalpabili e perché no, di caos, nessun dio, permetterebbe ad una sua creatura, per quanto imperfetta, di arrivare ad un appuntamento con un pezzo di spinacio sui denti. Per questo, Dio non esiste.” Fritz Hollmenn, si presentò così nella mia vita, con una tartina di lompo in mano durante l’inaugurazione della grande conferenza sull’86° anniversario della scoperta della quarta dimensione e dei sospensori in lattice anallergico. Conversammo a lungo, di sinestetica, massimi sistemi e sul perché le donne non sanno leggere le cartine stradali . Fritz, filosofo e teorico della assenza come metodo sicuro contro qualsiasi controversia, sembrava avere una risposta ad ogni mia domanda. “Sa cosa mi terrorizza da sempre? Cosa c’è dopo.Dopo la morte intendo, si paga per entrare? C’è la riduzione per le coppie? Faranno storie per la mia giacca?” Con calma mi sussurrò “è inutile che lei si dia un gran da fare per sembrare meglio di quello che è. Dopo la sua dipartita, scoprirà, non solo che non c’è nulla dopo la vita, ma che quello che poteva fare prima, già che c’era, le conveniva farlo meglio”. Presi a chiamarlo maestro e a confidargli ogni mio dubbio. La notte, tardando a prender sonno, gli ponevo domande difficili, “…l’universo ad esempio è in espansione?” ”Beata ingenuità, ma no! più semplicemente siamo noi che ci stiamo rattrappendo, vede, da quando abbiamo cominciato questa conversazione la sua testa, mi sembra essersi ridotta di un buon 25%”. Oppure a tradimento durante un the “Ci sono altre forme di vita nell’universo? Sono evolute? E se si come hanno risolto il problema delle unghie incarnite?” “Le dirò mio caro amico, nel 1977 spedimmo una sonda nello spazio, con immagini di Michelangelo, musica di Bach calcoli alfanumerici, iscrizioni in tutte le lingue del mondo. Nella speranza di incrociare forme di vita affini. La sonda (Poldo XIII) fotografò due anni dopo su Pollarin (piccolo satellite di Plutone), l’unica forma di vita a tutt’oggi certa nell’universo oltre a l’uomo, la Quaglia Pernilla (in tutto e per tutto identicha a quelle terrestre, se non per il piccolo dettaglio che sa otto lingue ed è alta come un tirannosauro. Ebbene, Nel 1980 la sonda tornò indietro con dentro un uovo sodo, del mangime e un biglietto con scritto non si vergogna a parcheggiare in questo modo?, ma questo la C.I.A. lo nasconde da allora. Non creda a tutte quelle storie sugli omini verdi, quelli, non sono alieni, ma burocrati e vivono molto più vicino di quanto lei possa immaginare.” “E la fede allora? Anni fa mandai una raccomandata con ricevuta di ritorno ad un certo Dio. È tornata indietro con su scritto “indirizzo sconosciuto” ed ho dovuto pagare io le spese postali in addebito, Insomma, esiste veramente?” “Mio caro amico, Se esistesse veramente, le pare possibile che non abbia mosso un dito per fermare Hitler o almeno L’alopecia?”. Darci delle risposte, allora, sembrava l’unica risorsa per sopravvivere a cotante domande, eppure oggi il dubbio mi sembra l’unica salvezza. Il mio amico Fritz Hollmenn, schiacciato dal peso delle certezze, ha smesso di farsi domande, ha trovato una soluzione a questo strazio, una domenica mattina, decidendo di fare il bagno con il tostapane acceso in mano. Di lui sono rimaste le sopracciglia, una narice, due toast al burro con marmellata di more e tante domande senza risposta ma in bella calligrafia. Ne scelgo una a caso.
“…non so dove sto andando, anzi dove stiamo andando tutti, ma una cosa è certa, io, sono contromano…”

venerdì, giugno 09, 2006

trittico incerto

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Nuda proprietà.

Ho ucciso mia nonna oggi. Le ho nascosto la dentiera nel microonde e poi le ho offerto un crostino. Non sopportavo più che mi sorridesse da un bicchiere la sera. La casa di mia nonna ha due bagni, e io una sola pazienza. Uno poi, lo tiene chiuso, che sennò si sporca. Mia nonna non mi ha cresciuto, mi ha rovinato. Butterò giù queste quattro mura durante l’omelia canuta di questa sera. E poi ci piscerò sopra, non avremo di certo pareggiato i conti, ma vuoi mettere la soddisfazione…Il fatto è che i vecchi puzzano e vogliono sempre il posto sull’auto, si fingono mutilati di guerra e sbuffano come focene spiaggiate. I vecchi sanno fare solo la frittata e coprono i divani e le sedie con il cellophane. A volte mia nonna copriva anche me, per proteggermi dalla polvere, diceva lei. Per proteggermi insomma. Adesso almeno, mi godo il divano.

astringenti
non è che io non sia capace di amare, intendiamoci, non proprio almeno. Ma non ho mai ben capito come si fa. Ho una straordinaria propensione ereditata dai bracchi, a fidarmi. Anche senza il ricatto dell’osso o di un semplice biscotto a forma di osso. Io, so farmi prendere per il culo e non capisco mai dove finisce il cazzo e comincia il cuore. Sapete, non è un discorso di dimensioni, quanto piuttosto di posizioni. Che poi, a pensarci bene ho sempre amato con la pancia, e da uno che soffre di colite nervosa cosa diamine vuoi aspettarti. Avrei voglia di innamorarmi nel pomeriggio, qualcuno di voi ha un limone?

giovedi (senza accento)
Un giorno o l’altro chiudo il blog ed apro un libro.

sabato, giugno 03, 2006

la marmotta albina (e la regola della pazienza)

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Era l’estate del 1967 o era il 1999 non ricordo, ero un bambino di poco più di quaranta anni, con le gambe secche e le scapole senza piume. Orlando invece aveva le dita lunghe come sartie e nodi serraglio alle nocche di sale. “quanto manca?” chiedevo “ancora un poco, devi avere pazienza…” “lo sai cos’è la pazienza?” “no” “è, quella cosa che dopo un attesa ti fa dire ne valeva la pena…” Non che ci credessi proprio a questa storia della marmotta albina,”la notte di san Lorenzo la cosa migliore che ti può capitare di vedere, non sono le stelle cadenti, ma la marmotta albina. Esce dalla sua tana, bianca come un dente da latte a mezzanotte precisa, si issa sulle zampe e ulula ai satelliti”. Suo zio Saro Raffadali ne aveva vista una da ragazzo, in cima allo scoglio del salto, e dopo era diventato ricco sfondato, ricco al punto che costruiva ponti che poi lasciava a metà.”Orlando” diceva “ricordati che le cose migliori, sono quelle che sembrano non finite.” Orlando diceva un sacco di cazzate, come quella volta che raccontò di essersi scopato tre donne contemporaneamente su una nave diretta a Pernambuco. Lui raccontava quel genere di cazzate, quelle che nessuno può contestare, cazzate senza prove insomma, che poi sono le migliori. Infatti io ci credevo. Aveva un dente di squalo al collo e dei risvolti poetici ai pantaloni, roba da mal di cuore. Girava scalzo con una fiocina nel costume color aragosta e mangiava solo fichi d’india, con tutta la buccia “perché le spine a me, non mi fanno un cazzo” diceva ridendo di sangue. Ci arrampicammo a passi bianchi fin sopra la scogliera, nel punto più alto,. Dove il vento fermo ha la voce delle cicale. L’acqua da li sembrava verde, dietro un culo di bottiglia, e potevamo vedere il narvalo in amore e le prue degli scogli come un rompighiaccio, Le nuvole erano un drago bianco diretto verso il golfo di Capistrano. Orlando nell’attesa faceva scoppiare i ramarri con il tabacco. Poi rideva. “arriverà”, diceva, “arriverà…” bisognava ammazzare il tempo, con le mani nelle mutande. I pomeriggi si scioglievano liquidi, nel battere del perineo, dopo i racconti sulla puttana greca o di quella volta che la cugina con le tette come due meloni glielo aveva toccato di nascosto durante la messa, proprio mentre la zia si soffocava con l’ostia tra le braccia dell’amato Don Gaetano. Le nuvole adesso sembravano un cane da caccia e puntavano verso sera con la coda dritta e una zampa avanti. Aspettammo per ore, la marmotta albina non venne mai. Mai più. Contammo 2766 scolature di desideri , un buco nero e scoprimmo la costellazione della falce e martello. Non se ne avverò nemmeno uno, però, imparai ad aspettare.

“quanto manca?” “ancora un poco, devi avere pazienza…” “lo sai cos’è la pazienza?” “no” “è, quella cosa che dopo un attesa ti fa dire chi cazzo me lo ha fatto fare…”