sabato, febbraio 25, 2006

moon_alkaline

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“Devo ricordarmi di cambiare le pile. Segna le sei ed è ancora buio. E nemmeno suona. L’insegna del sexy shop lampeggia sul mio quadro migliore e gli regala un culo nuovo. E poi fa freddo, un freddo strano. Ti entra dentro. Sogno ancora un po, rifaccio quel sogno di mercoledì, quello che fa ridere tra le gambe. Lampeggia le sette adesso , una intermittenza blu sulla foto di Camilla. i vicini si urlano un'altra nottata addosso, la stessa da sempre. È ancora buio pesto, Camilla non ha chiamato, la foto in penombra sembra chiudere gli occhi. Chiedere scusa al buio sembra più facile, potrei alzarmi per pisciare ma il quartetto per panni stesi non me lo perdo. Sette e mezza, la bocca di mosto si gela nel blu, faccio pensieri da aringa, senza scadenza. Fuori c’è un silenzio di neve, nessun canto di sirene, il bicchiere di sete è amaro e sembra una notte senza dolore. Ti chiederò scusa domani, dormo ancora un po, devo sognare di quella volta, di quando venivi mossa e ridevi sovraesposta. Buffo, segna la nove e fuori è ancora buio. Devo decidermi a cambiare le pile.”


nella notte del 23 febbraio 1969, la terra smise improvvisamente di girare. La notizia fu data alla radio, in bianco e nero. Mezzo pianeta sarebbe rimasto illuminato per sempre. Io, ero nell’altra metà.

lunedì, febbraio 20, 2006

profilo sinistro

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“…mi riesce bene praticamente qualsiasi cosa, tranne morire…” (tratto da “Il lamento dell’oloturia” di R. Hobbs, 1959 ed. sartie)


Voleva, al di sopra di ogni altra cosa, essere amato. Questa sensazione mai raggiunta per più di due o tre minuti per volta, gli restituiva il senso stesso della sua esistenza, la ragione. Aveva cercato un po ovunque, nel grasso di balena, tra gli ingraggi di un sestante e nella vecchia credenza in soffitta, dove teneva nascosti, pane secco e quei ritagli di giornale senza rughe e lusinghieri. Lusinghieri come certi ricordi che si faceva da se, con acqua farina e quel po di menzogna che lo aiutava a nascondersi in modo dignitoso dalla paura del buio, dal tizio sotto il letto e dal giudizio degli altri, che poi, altro non era che il suo in versione slapstick, con bucce di banana e un po di bianco e nero, che, come diceva Oliver Hardy “non guasta mai”. Questo era il suo tormento, il profilo migliore, un passo da sera. Origliava nei caffè l’amore degli altri, pensando qua e la, (ma non troppo) se fosse possibile per lui esserne all’altezza, o, come temeva da un po, da quando il vizio dell’aerosol con le nuvole rosse era diventato un ossessione portatile, semplicemente spettatore, dietro una folta barba discreta. Aveva le mani corte e tozze, da pugile, buone solo per qualche carezza ruvida. Il sorriso invece prometteva bene, come un mercoledì sera, o una fototessera. Così si prese la briga di farsi nuovamente del male, i piccoli tagli che si procurava sugli avambracci macchiavano di marmellata le maniche e riempivano di curiosità le mosche. Poi, non visto, nascondeva sotto la lingua un riflesso metallo a forma di lametta. “Eccola…” pensò, “...piccola morte, digrignami la tua gioia nel tempo di un caffè”. Lo sorseggiò dolce (come sempre) ed aspettò un poco parlando di massismi sistemi, tubi innocenti e di quello stupro di vetro nella piazza del paese. Poi, al suo sguardo complice, al respiro nelle narici, ma soprattutto al ricciolo appoggiato dietro l’orecchio rispose marchiando il territorio e voltandogli le spalle. Aprì la bocca, la lametta era ancora li, sotto la lingua.

giovedì, febbraio 16, 2006

l'io e l'ei

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“Giacchè quel che sembra non sempre è quel che è. E probabilmente nemmeno un grammofono.” (Tommaseo, Increduli, cap 7. vers.15)

(dai diari di P.S. Broomings)


L’ho sentita di nuovo. Squilla il telefono ed una voce in basso tuba mi chiede “Dov’è Ovidio?” e quando rispondo “Ovidio chi?” la voce sussurra “ricorda…frenulo brevis.” Poi sghignazza e cade la linea. Il mio analista R. B. sostiene che dipende da una scarsa predisposizione a comunicare con i miei genitali. Gli ho detto che non faccio altro dall’età di 12 anni e lui ha risposto che non ci siamo mai capiti, altrimenti, non sarei l’unico paziente con l’invidia della vagina. Me lo ha detto scandendo le parole, mentre lo guardavo dal lettino, aveva una matita nella narice e non sembrava affatto scherzare. Che dipenda dall’aver visto mio padre giocare all’allegro chirurgo con Rosmando il ferramenta? O forse dall’aver spiato dal buco della serratura mia madre nuda che insaponava un criceto? Così ho rammentato che in effetti era già successo. Una sera dopo una partita a dama persa a tavolino per aver gettato dei fumogeni in mezzo alla scacchiera, sento una voce che dice “non hai volontà e nemmeno un gran profilo…” Allora tento di andare a domare un Tucano, ma la voce mi porta a vedere il circo Medrano e poi una rassegna di film polacchi. Ho staccato il telefono eppure squilla in continuazione, ieri poi, la voce, si è manifestata anche al citofono, “Ha ordinato lei un complesso edipico e due birre?”. Sto inpazzendo, la sento ovunque, mentre mi rado e persino al lavoro, dove ormai, mi guardano tutti in modo strano. Ieri Viktor Bozs mi ha sorpreso in bagno mentre rispondevo “normodotato” alla domanda “Cosa te ne fai di tutto quel cotone?” Il dottor R. B. ha tentato una seduta di ipnosi regressiva, sono arrivato fino all’età di sei anni ma non ne ha cavato un ragno dal buco, se non fosse per il fatto che ho chiesto i lego per natale. (ma ha vinto la voce che invece ha chiesto il dolce forno harbert). Comincio a dubitare dell’efficacia di questa terapia e del Dott. R. B. dovevo capirlo subito che qualcosa non andava. Perché quell’odore di chiodi di garofano nel suo studio? E cosa diavolo c’entra il trapano? scavare in profondità dice lui e poi, dopo ogni seduta devo sciacquarmi la bocca e sputare. Perché?
Forse siamo ad una svolta, credo dipenda tutto dal senso di colpa, questo giustificherebbe il fatto che ogni volta che credo di offendere qualcuno, dopo, gli propongo di compilare un CID. (questo confermerebbe la teoria secondo cui il senso di colpa viene da sinistra e quindi, ha torto). Il mio senso di colpa risale alla mia infanzia, quando ho inavvertitamente fatto saltare in aria mia nonna con della polvere pirica, giocando a “la rivoluzione col botto”. Di lei rimasero solamente il bastone e mio nonno. La voce si manifestò da li a breve, con messaggi criptici come “assassino” e “…se ti interessa c’è da demolire una casa di riposo…” Convincermi che non è stata colpa mia è stato un percorso lungo e tortuoso, (la miccia era difettosa) ma ora sono libero e cosa più importante la voce è scomparsa. Se ne è andata un mercoledi pomeriggio sussurrando “…vado a comprare le sigarette…”. Ho acquistato una sana percezione di me, non idealizzata, proiettata, finalmente so cosa sono, e capisco il significato di parole come autostima, io, cappio e lamette. Peccato solo che nessuno mi voglia bene.

L’analista R. Brown si è suicidato dopo avere inutilmente tentato di dimostrare il complesso edipico negli orfani, per contro, le sue cure canalari sono tutt’ora un esempio inarrivabile.

I diari di P. S. Broomings sono pubblicati dalle edizioni “Il complesso” con il titolo “Lettino ad Acqua”.

martedì, febbraio 14, 2006

14.02.05

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no, non è un errore, la data è quella giusta, ma diciamocelo chiaramente, su questo argomento difficilmente avrei potuto scrivere di meglio, sicchè, beccatevi il post dell'anno scorso.
Lo so, nessuno ne vorrebbe parlare... è il 14 febbraio, la festa dei baci perugina, ma sopratutto del Sig. Goffredo Perugina. Sappiate quindi che qui "da solo" starò benissimo, non ho certo bisogno di compagnia, perché io sono un tipo simpaticissimo e se avessi degli amici ve lo potrebbero raccontare. Giocherò a tennis da solo correndo da una parte all'altra del campo, giocherò a scacchi correndo da una parte all'altra della scacchiera, cenerò da solo al lume di candela corteggiandomi da vero galantuomo, cercherò di baciarmi da solo, ma poi, mi dirò che al primo appuntamento non è il caso. Andrò al cinema da solo e mi offrirò il biglietto (così risparmierò, furbo eh?) ballerò da solo tutta la sera avvinghiato a me stesso e sarà molto romantico, poi mi darò il numero di telefono e stasera forse mi chiamerò, ma prima, mi faccio aspettare un po sennò mi monto la testa, perché un pochino mi devo fare aspettare. Ecco, adesso vi saluto perché mi sono venuto a prendere, sapete, io odio farmi aspettare...buon s. Valentino a tutti.

sabato, febbraio 11, 2006

insignificanze (in D minor)

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...ieri, ho ripetuto la parola cavatappi fino a farle perdere il proprio significato e, cosa più importante a farle aprire la bottiglia di brunello che implorava la morte per deglutizione. Ma ho fatto di meglio, con organza prima ed orgasmo poi, fino a convincermi del loro assoluto insignificare (bum!). Eppure, un rivolo di piacere deve essersi visto da qualche parte, sulla mano. Lo scialle in testa invece, non ha sortito l’effetto sperato, se non quello di sembrare una mammana impazzita. Ho ripetuto scarpe fino alla nausea, fino ad essere scalzo sotto la tua finestra gialla, ma stavolta, non hai riconosciuto i miei passi e non hai sciolto la treccia, non per me. Ho ripetuto la parola decantare cento volte, ma in silenzio, quindi un pensiero (in D minor) ha profumato di aromi fruttati almeno fino alle cinque, poi, una mandorla se l’è portato via. Barchetta , soffiato fino all’alba non ha portato a nulla, mare forza otto e venti da nord est l’hanno inzuppata fino a stingere il compito in classe sulla mia tovaglia a scacchi. Chiappe invece, ha avuto una sorte migliore è diventata un senso, appoggiato su un dito. Oggi invece, in preda ad una curiosità suicida ripeterò all’infinito Alessandro. E morirò...

Unendo le parole in grassetto si otterrà un simpatico aforisma di Bertrand Godunov jr. o un disegno idiota, fate voi.

venerdì, febbraio 10, 2006

ora d'aria

"...voleva un pensiero felice, o almeno, con una lima dentro..."
per B.

lunedì, febbraio 06, 2006

radio londra

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Andrebbe letto, il tutto, con quella santa pazienza amorevole con cui si ascoltano i discorsi di chi si ama, ma nelle giornate in cui si avrebbe voglia di portare un apparecchio acustico spento. Mettete su il Giovanni Sebastiano (sei piccoli preludi BWV 933 – 938) e ricordatevi che i punti che avanzano non si buttano mai. Potreste sempre aver bisogno di chiudere un discorso.
Faccio sogni amaranto. da un po. non che non mi piaccia. ma adorerei tornare indietro. al mio meraviglioso periodo. color cachi. Così. tanto per dare agio alla mia critica. all’esegetica anafilattica. o ai sistemi perplimenti. metto un annuncio. nella tua bacheca. “offresi avanzo obliquo. titubante. ciarla perplesso e ravana pertugi angusti. ma non disdegna sbucciare pompelmi rosa. i tuoi” astenersi perditempo. villose. naziste. vegetariane. finte clitoridee. vere vaginali. extrauterine. e comunque. con manuale. di istruzioni. che passi esitanti. passi a ritroso. passi alle sette? no c’ho il dentista. il nostro è un amore a pila. non alkalina però. per questo mi vedi sfocato. ma te sei venuta? io? mai. non vieni mai. come sei parca. amore. mi aggiro con la grafite intorno al tuo naso. non sfumo col dito. mai. ti frego l’anima. con la 5h ben temperata. come un clavicembalo. citofono al 35 b. dici di non essere in casa. ripasso dopo il dentista. stessi interessi. non capisco. sei candida. hai la candida. trovo un chiodo di garofano. nelle tue tasche. e porti un premolare all’orecchio. vedo. ma te. mi tradisci col dentista? la mia sveglia. al collo. suona le otto. in do diesis. sogni amaranto.

p.s.
amore, non è che non ci sono più i principi azzurri, il fatto è che tu sei daltonica. E poi ricordati, che per sembrare un intellettuale, non basta davvero titillarsi i capezzoli leggendo Proust (pron. Prost, Alain).

mercoledì, febbraio 01, 2006

eco

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Il peso sul petto, quello che balla sulle punte, potrei anche sopportarlo. Il silenzio con l’eco invece no. Continuo a gettare il sasso, forbice taglia carta, carta mangia sasso. Silenzio. L’appunto vicino al tuo sonno di ieri. L’ora degli amanti è un sorriso sul colletto, un abbraccio nella giacca, un respiro trattenuto.