venerdì, ottobre 26, 2012

glass

















John Belushi/Blair Brown - Continental Divide


Contrariamente a quello che si pensa, gli occhi di chi ci ama sono molto più puliti dei nostri. Per questo dovremmo guardarli, dentro, che so, diciamo una volta al mese. Così, anche solo per sapere che fine abbiamo fatto.

lunedì, ottobre 15, 2012

pirite di ferro




























Passare al setaccio i tuoi sguardi pieni di limatura di ferro, roba che luccica, roba che taglia, in un pomeriggio così e senza cappello, non è da tutti, non è da me. Se avessi un’ombra di barba e pochi anni per poter sparare, almeno avrei la scusa buona per piccoli furti all'emporio, per perquisire il tuo cappotto con le maniche mangiate dal fumo e dalla poca pazienza nel non trovare quello che cerco, o imprecare come tutti i cornuti, che sperano di esserlo per darsi uno scopo, un nuovo taglio di capelli, e una buona ragione per bestemmiare. Da nord arrivano carri pieni di storte speranze e con le gambe piegate in mezzo alla polvere, una febbre senza ritorno, che nel tornare cambiati c'è tutto il dolore di non essere riconosciuti, come chi non è mai partito. Un corso d'acqua ruggine è un posto come un altro per morire da disertori, con la giubba stretta negli alamari e un fazzoletto rosso al collo. E allora ditelo agli altri, che all'ovest, l’oro, luccica solo per le gazze ladre.

giovedì, ottobre 11, 2012

nord
















In questo niente che c'è ti tocca fidarti di quello che senti, annusare l'aria e stare di traverso, ringhiare alle ombre e incantarti un quarto alla volta davanti alla zoccola bianca che sposta il mare e gli aghi delle bussole. E mentre marco il territorio poco prima della battuta di caccia, capisco, nell'aria che trema, che anche il nord è una promessa mancata.

lunedì, ottobre 08, 2012

supertele




Il supertele andava a vento. Ma costava 500 lire, e se giocavi in un campo di cemento avevi l'illusione di essere come tutti gli altri. Faceva degli strani effetti, parabole assurde, accelerava e rallentava a sua discrezione. Ce n'era una versione blu con i pentagoni neri, inspiegabile per altro, amata solo dagli interisti. A me stava di molto sui coglioni, ma in mancanza d'altro adattarsi a tutto, era d'obbligo.

Il Super Santos era ingannevole, ma c'era già il salto di qualità: Plastica arancione un poco più pesante. Da lontano sembrava un pallone da basket, e da vicino, comunque, continuava a non essere un pallone da calcio. Paolo Bernacchi di porta maggiore, durante un'ora di buco palleggiò ininterrottamente fino all'arrivo di quello di religione, poi spirò con tanto di benedizione. 

Dopo i mondiali dell'ottantadue, un genio inventa il tango. E li cambia il mondo, diventammo tutti fenomeni. Me compreso, che è tutto dire. Anche mia madre, che di lavoro faceva la sarta, prese il vezzo di sfoggiare colpi di tacco e rovesciate improvvise che strappavano applausi a scena aperta a tutto il vicinato. Fu anche fatta una petizione per metterla sulle figurine Panini al posto di Carletto Parola, ma poi non se ne fece più niente. 

A natale del 1987 mi regalarono un pallone di cuoio. Li ho capito che non sarei mai stato un calciatore. Mia madre invece, imperterrita discorreva di tattica con mio padre. Lei credeva nel 4-3-3 lui era un difensivista convinto, finiva quasi sempre a botte, ma come diceva mia madre "non è il risultato, ma lo spettacolo" e mentre lui spiegava, lei gli faceva una rabona sotto al naso e ciao ciao. Finiva a botte, puntualmente. Papà entrava netto sulle caviglie, e mamma si rotolava chiedendo il rosso. Poi giorni di silenzio, ostinato e cucito a mano come certi palloni. E poi, finivano a letto. Io ero di sotto, in un fazzoletto di mattonelle a giocare a battimuro, mentre la sera trascinava ombre da cortile e profumi che mettono fame. A cena, era evidente che aveva vinto il 4-3-3 e non tanto per il sorriso beato di mia madre, ma perché capivo allora, che certi silenzi non sono tattica, ma opportunità.