«BANG!»
All’interfono del commissariato di Rocca Volturno, la voce dell’ l’agente scelto Crapanzano disse: «Ispettò, tutto bene?»
E l’interfono rispose: «Crapanzà, tutto bene, esperimenti balistici, però se ti riesce, fatti i cazzi tuoi ogni tanto.»
Per l’agente scelto Crapanzano Saro, tra il colpo d’arma da fuoco che aveva appena sentito e la parola “balistica” non c’era nessuna correlazione o attinenza particolare, però il: “Fatti i cazzi tuoi” ebbe l’effetto sperato e chiuse la comunicazione tornando alla lettura di Femmine Bollenti Pocket di luglio 1983, un classico. L’ispettore Stracchino invece, guardava la testa di Bakari, o quello che ne restava, saltata in aria mentre puliva la pistola durante l’interrogatorio. Bakari lo avevano arrestato dopo un segnalazione da parte di alcuni bagnanti - ligi al dovere e avversi alla contraffazione del marchio per motivi religiosi- sul lungomare di Rocca Volturno, mentre vendeva una sacca sportiva di marca “Sadida” alla cifra da capogiro di 15 euro. Al seguito furono trovate anche scarpe “Nikes”, felpe “Robe di Carpa” e t-shirt “Lafroste”. Roba di prima scelta insomma.
Il poveretto, sottobraccio a due agenti, se n’era venuto in commissariato buono buono, con la serena consapevolezza di chi sa che quella sarebbe stata solo l’ultima di una infinita serie di giornate di merda. E infatti.
La testa di Bakari era ormai un guazzetto rosso pompeiano e molto gestuale , un po’ come quando all’ispettore gli esplose la bottiglia di barolo a natale del ‘77, solo che stavolta ci stava un morto. Solo che da dietro la poltrona, con quel taglio di luce e la meraviglia matematica di alcune traiettorie casuali degli schizzi di sangue, il risultato non aveva nulla da invidiare ad alcune delle opere migliori di Jackson Pollock. Mo’ però, il fatto era che tecnicamente aveva ammazzato un uomo nel suo ufficio e se pure il poveraccio era in stato di arresto per commercio di borse contraffatte, nessun documento, nessun permesso di soggiorno - che magari nemmeno Bakari si chiamava - e se pure il colpo era partito in modo del tutto involontario, la cosa in effetti avrebbe potuto procurargli alcune rotture di cazzo da lì in avanti e a tre anni dalla pensione, si disse che non era proprio il caso.
Che poi a Rocca Volturno non succedeva mai niente, in effetti e all’ipsettore Stracchino la cosa andava pure bene, il tasso di criminalità annuale era il più basso del mondo conosciuto, 335 abitanti, per lo più pensionati, il resto erano tutti in Svizzera o in Germania. L’ultimo episodio di criminalità era stato quello del ragionier Ragonese, uno che aveva gestito i soldi di una ventina di poveracci in “Investimenti sicuri” e che adesso se ne stava da qualche parte immerso nell’olio di cocco, bevendo cuba libre dalla mattina alla sera. Insomma, un paradiso in pratica, meta ambitissima anche perché c’era il sole, c’era il mare, e soprattutto non c’era un cazzo da fare, e scusatemi la rima.
La fortuna volle che al 14 di agosto, a parte lui e l’agente scelto Crapanzano, il commissariato di Rocca Volturno fosse praticamente deserto. L’agente Lo Turco era a fare i fanghi, che dopo una vacanza in thailandia, se ne era tornato a casa con delle macchie sulla pelle che sembrava una fungaia, il vice sovrintendente Proietti era in ferie a ingozzarsi di cocomero e melanzane alla parmigiana sulla spiaggia di Sabaudia e l’agente Sannazzaro era in permesso, che alla moglie si erano rotte le acque e a lui i coglioni invece, dato che la signora Sannazzaro aveva sfornato la bellezza di tredici figli in sedici anni, per una scarsa abitudine all’uso degli anticoncezionali e per un’attitudine naturale alle famiglie numerose, diciamo e quindi ‘sta rottura delle acque era diventata l’esondazione del Rio delle Amazzoni.
Mentre si addannava, strusciando con uno straccio contro le macchie rosso scuro sparse praticamente ovunque sulla parete di fronte alla scrivania, si rese conto bestemmiando, che lo sgrassatore del discount all’angolo, col sangue, funzionava poco e niente. Alla fine mentre strizzava la camicia nel lavandino del bagno, decise di appenderci davanti il planisfero in scala 1:1 che gli aveva regalato il Sindaco Barrese per natale. Una latta di tinta lavabile avrebbe fatto il resto. Mentre copriva il Pollock in piedi su una scala, Il servizio al tg di teleonda delle dodici mostrava l’ennesimo sbarco di clandestini a punta rossa. Di trecento, ne erano arrivati vivi la metà, gli altri erano morti di sete o buttati in mare dopo essere stati ammazzati di botte o a revolverate dagli scafisti, che nel frattempo si erano resi irreperibili. Con quelle correnti per ripescarli tutti, ci sarebbero volute settimane, forse mesi.
Fu allora che all’ispettore Stracchino venne un sorriso girocollo, mentre sfilava il bossolo conficcato nel muro tra la foto del presidente Bolchi Randazzo Paolella e il calendario delle forze armate, si disse: “Ma un extracomunitario senza permesso e documenti, chi cazzo lo cerca? Nessuno. E soprattutto, se sparisce, chi cazzo lo trova? Nessuno. E ammesso che qualcuno lo trovi, chi cazzo lo riconosce uno senza faccia? E la risposta fu sempre nessuno”. Ecco, Il piano era un poco rischioso, ma tutto sommato semplice. Per attuarlo al meglio gli servivano: Coperte, canne da pesca, bigattini, sangue freddo e una discreta dose di culo. Chiamò all’interfono l’agente Crapanzano usando parole suadenti e dall’alto potere persuasivo:
«Crapanzà, per le prossime tre ore non voglio rotture di minchia, me ne vado a pesca e se chiama il vicequestore digli che sono passato a miglior vita, per noia»
«Agli ordini!» Rispose Crapanzano mettendosi sull’attenti - che Crapanzano era uno serio e si metteva sull’attenti pure al Telefono- un attimo prima di tornare alla lettura di un mirabile pezzo dal titolo:”La calda lingua di Samantah” con l’acca finale.
L’ispettore Stracchino, suo malgrado, la seconda telefonata la fece alla moglie.
« Rosina, guarda che oggi non torno a casa, mi sa che me ne vado a pesca»
Ma quella, Rosina, era una donna di poche parole e aveva riattaccato senza fiatare né dire a, anche perché se ne stava a cavalcioni dell’architetto Giarrusso, vedovo in seconde nozze, bisognoso di affetto e consolazione e che del lutto ci aveva un’idea tutta sua, ma questa, è un’altra storia.
Stracchino passò dall’uscita sul retro, aveva avvolto il poveraccio in alcune coperte con lo stemma della polizia di stato e da cui uscivano i piedi con due scarpe di colore diverso, poi lo aveva trascinato fino al parcheggio deserto del commissariato dove aveva lasciato l’auto e si stupì di quanto fosse capiente il cofano della sua Mazda 1100 ecologica, dato che il povero Bakari ci entrò tutto intero e non gli dovette nemmeno piegare le ginocchia. In realtà il Bakari era alto uno e cinquantatré, ma nella fretta, il dettaglio era sfuggito ai più. Dopo essersi assicurato che da fuori non si vedesse nulla, chiuse il cofano, si infilò in macchina, girò la chiave, aggiustò lo specchietto retrovisore e partì. Avrebbe fatto finta di andare a pesca, che all’ispettore Stracchino piaceva la pesca, nessuno si sarebbe quindi stupito nel vederlo farsi un giretto con il suo cabinato con motore Yamaha da 700 cc. E per rendere più credibile la cosa fece uscire due canne in bella posa dal finestrino del passeggero, con filo di nylon e galleggianti al vento, come fossero due bandiere. La sorte giocò ancora a suo favore, quando davanti all’unico bar di Rocca Volturno incontrò il notaio Parracciani e l’avvocato Stancanelli sottobraccio dopo l’aperitivo, a parlare sicuramente di sticchio o di calcio.
«Andiamo a pesca ispettore?»
«Notaio Parracciani e che vogliamo passare ferragosto senza mangiarci un paio di orate al forno con le patate?»
«Non sia mai, ispettore, non sia mai!»
Poi fece un cenno di saluto col capo e girò verso il molo, dove teneva attraccato il suo cabinato. Come previsto, il molo era deserto e anche al gabbiotto con la sbarra non c’era anima viva, stavano tutti persi nei preparativi di piatti mortali e cucinati con l’olio dei motori a quattro tempi o a dormire spiaggiati come oloturie in tutti gli stabilimenti e le calette intorno al paese. Alzò la sbarra e si fermò con l’auto proprio davanti alla barca, trascinò il corpo di Bakari fino alla cabina e lo sistemò con cura sotto una panca insieme alla pompa di sentina, due materassini e alcune fiocine arrugginite, con cui di tanto in tanto aveva giocato a fare il subacqueo. Prese le canne da pesca, staccò il sacchetto coi vermi dallo specchietto dell’auto e guardò oltre il porto. Il mare era una tavola. Con un poco di culo, pensò, avrebbe avuto anche il tempo per pescare veramente. Accese il motore e guardò del petrolio galleggiare intorno allo scarico con bolle color arcobaleno, tolse la gomena dall’attracco e la barca cominciò a muoversi lentamente.
A largo di Cala scura, Il tonfo nell’acqua parve quello dei sassi pesanti che i ragazzini per gioco, buttano dal molo. Solo che quello non era un sasso, quello era Bakari Kwame, 33 anni, ingegnere edile, scappato dalla guerra civile dopo aver visto suo fratello ammazzato a colpi di machete e sua moglie stuprata da una decina di animali con la divisa militare, animali che dopo hanno deciso di giocare a calcio con la sua testa, animali che fino a qualche mese prima erano i suoi vicini di casa, quelli che lavoravano con lui, che andavano a scuola con i suoi figli. Insomma Bakari Kwame era uno che aveva attraversato un mare sconosciuto di notte, che aveva preso le botte perché i soldi per arrivare erano troppo pochi e tante altre ancora da quelli che lo aspettavano a riva a braccia aperte e che alla fine muore per mano dell’ispettore Stracchino Giacomo, anni 63, a causa di un colpo accidentale partito dalla sua Beretta semiautomatica M51 di ordinanza, mentre nel pieno adempimento delle sue funzioni la puliva con cura e olio di gomito, anche se non sparava più dal 1978.
Comunque entro qualche giorno la corda con la pietra che aveva malamente legata al piede del poveraccio avrebbe ceduto, sarebbe riaffiorato e la corrente lo avrebbe portato inesorabilmente verso Punta rossa, diventando l’ennesimo morto senza nome e senza faccia, da accollare agli scafisti. E poi, per non dare troppo nell’occhio, si mise a pescare. Mentre il piccolo cabinato si muoveva appena, con la canna in mano e un cappello di paglia infilato in testa, si disse che aveva fatto bene così, che era stato un incidente, che non era giusto che capitasse ma che ormai era capitato, che nessun giudice al mondo avrebbe creduto all’incidente e poi giù campagne mediatiche sui mezzi d’informazione e i social network, vedeva già una sua foto orrenda dietro al tizio del telegiornale e titoli roboanti sul poliziotto col grilletto facile, sull’ennesimo omicidio in un commissariato per coprire chissà che cosa, lo sbirro xenofobo, lo sbirro fascista e una sfilza infinita di precedenti e foto e indizi, congetture, prove false, scoop montati ad arte, criminologi imbolsiti e opinioniste dalle tette rifatte a dare giudizi del cazzo atti a smerdare le forze dell’ordine e tutti quei bravi poliziotti come lui che per questo paese avevano dato il culo. Vabbè forse il culo era una metafora un tantino esagerata, ma insomma quarant’anni di onorata carriera, con uno stato di servizio come il suo, erano pur sempre qualcosa no? Eccheccazzo.
Si fermò un attimo e si sorprese del fatto che stava gridando da solo in mezzo allo Ionio col dito puntato verso l’alto. Un autentico comizio a vongole veraci, purpi e fasolari. Riprese quindi con un tono sommesso e conciliante, più consono ad un rappresentante delle istituzioni di una grande democrazia, bisbigliando: «Se te ne stavi a casa tua, invece di venire qui a rompere i coglioni…». La canna si piegò improvvisamente in avanti, la prima delle due orate della giornata, aveva abboccato.
Appena mise piede sul molo squillò il cellulare, era l’agente Sannazzaro. Sua moglie aveva avuto un figlio maschio.
« Mi sarei permesso di chiamarlo Giacomo, proprio come voi, Ispettore»
«E grazie Sannazzà, sono onorato, congratulazioni a te e alla tua signora»
Attaccò e pensò tra sé e sé, con un brivido, che ci voleva un gran coraggio a far nascere un figlio in un mondo di merda come quello. Poi guardò nel secchio che teneva in mano, e si consolò pensando che per cena, almeno, avrebbe mangiato pesce.