delicatessen (800$ al metro lineare)
mi chiamo Orazio Narl. Mai creduto in niente e nessuno. Va detto in apertura però, che i bambini non credono in Dio ma alle suore, e mio padre dalle suore non mi ci ha voluto mandare. Mia madre era metodista, mio padre materialista alcolista. La sera tornava a casa sobrio, per non dare nell'occhio, ma mia madre la picchiava lo stesso, e dopo, mentre le disinfettava i segni della fibia sulla schiena le leggeva amorevolmente Marx, Groucho. Mia madre piangeva e pregava, e intrecciava vimini e falangi. Io passavo il tempo a pescare, e ogni volta che tornavo con la cesta piena di barbi, a mia madre dicevo "ho irretito un pesce". Allora mio padre mi diceva che avevo troppa fantasia, e picchiava anche me. Mio padre aveva una filosofia di vita molto spicciola sapete, più o meno recitava "la vita è una merda figliolo, e quindi, tanto vale imparare a navigarla" per questo gestiva una ditta di spurgo. Diceva anche, citando Eraclito rigorosamente a tavola " da quello che la gente caga, si capiscono molte cose". Mia madre a quel punto andava a dare di stomaco, sognando con mezza saponetta cacciata in bocca che qualcuno finalmente la portasse via. E a marzo, vennero a portarla via davvero, anche se non era l'agente immobiliare di Groover Street che ogni venerdì le prometteva il nulla con i calzoni calati fino alle ginocchia e degli osceni calzini con le giarrettiere. Venne una trombosi al lobo temporale destro, mentre mia madre era sulla porta con le buste della spesa e un foulard a pois sui capelli color carota. Sentì il fischio di un treno da binario morto e rimase ritta e prigioniera per sempre come i manichini delle sartorie. Mio padre la imboccò per un paio di mesi raccogliendo pappa di semola ai lati della sua bocca, poi si annoiò e la lasciò crepare da sola davanti a "vento d'ammore" sul canale sette.
al funerale di mia madre come era usanza dalle mie parti, la gente si ingozzava di ogni ben di dio. Sembrava una festa. Mio zio Ferdinand quasi si soffoca con un osso di tacchino incastrato nel gozzo, e sua moglie Martha, con le dita sporche di sugo, aveva continuato a dirmi tutto il tempo pizzicotti unti sulle guance. Alle tre del pomeriggio mio padre mi aveva trovato chiuso in un armadio a piangermi addosso e mi disse, paonazzo, con l'alito che puzzava di bourbon che l'auto commiserazione era come le seghe, faceva diventare ciechi. E poi, stringendomi forte la mano con gli occhi umidi aggiunse "Orazio, figliolo, ora che tua madre non c'è più, purtroppo non potrò mantenerti, quindi a malincuore, dovrai mantenere tu me" a dodici anni suonati, e la prima leggera peluria sulle labbra, andai a lavorare all'Emporio Prendergast. Avevo una salopette blu, e scarpe di vernice strette. All'emporio lavorava anche Marta Salznick, e a lei devo alcune delle cose più importanti della mia vita. La prima me la insegnò dopo una settimana frugandomi nella patta con le mani ruvide di sapone, e la, seppi, che con l'uccello non si piscia e basta. La seconda invece è che bisogna evitare i locali romantici al primo appuntamento perché nei ristoranti pieni si mangia molto, ma in quelli vuoti si spende troppo. Alla fine dell'anno ringraziai il signor Prendergast, presi la liquidazione e mi arruolai nei marines.
Il mio paese era in guerra con una colonia africana, e io non avevo mai visto nè una colonia né un negro finchè non dovetti sparargli in mezzo al petto. E in quei giorni sparai anche ad altre creature mai viste, come i bambini e le donne, e anche le zebre i coguari e le puttane. Anche se le zebre in verità le avevo già viste allo zoo di Richmond, quando mio padre si ostinava a dire che fossero muli dipinti. io obbedivo agli ordini, ovviamente. Quando entrammo ad Asmara in fila indiana ci sputarono addosso anche i dromedari, comunque.
al ritorno dalla guerra, io ero un reduce tossicodipendente con un tagliaunghie da sopravvivenza, e mio padre era morto. Le esalazioni degli spurghi gli avevano avvelenato i polmoni e il cervello. Gli avevano dato pochi mesi di vita, per cui raccolse quei pochi soldi che aveva, sposò un transessuale in seconde nozze a Las Vegas, in una chiesa a forma di water e con un prete vestito da Elvis che cantava "are you lonesome tonight" mentre gli si muoveva la dentiera. Una settimana prima di morire fece testamento, e mi lasciò in eredità l'autoclave per lo spurgo, un paio di galosce e la pompa con trenta metri di tubo in gomma e titanio. E fui un uomo nuovo.
Conobbi Elvira un pomeriggio di luglio, andai a sturare il condotto di scarico del monastero delle Suore del Sacro Cuore di Gesù. Per sturarlo ci vollero tre ore e mezza, e alla fine uscì un bolo di profilattici incastrati nello snodo di scarico a tre metri sotto terra. La madre superiora fu cacciata con ignominia, e adesso gestisce un sexy shop a Montego Bay. Elvira aveva una stanza in affitto nel convento, e dopo avermi visto all'opera mi disse chei trenta metri di gomma e titanio erano un buon motivo per sposare un uomo. Aveva voluto aggiungere il cognome del marito al suo, come sua madre, e sua nonna prima di lei, Elvira Spritz Narl. Il sesso con mia moglie era il supplemento settimanale alla masturbazione. E mi costava solo 15 dollari. "lo faccio per te perché sei un amico" mi diceva mentre si sfilava le calze. Ma dovevo capirlo subito, "che ci guadagno a venire a letto con te?" mi aveva detto la prima volta che mi ero fatto trovare vestito della sola cravatta nel suo soggiorno a fiori color cachi. E così era diventata una sana abitudine. Io svuotavo i miei condotti spermatici mettendoli al riparo da malattie da disuso, e lei aveva, dopo vent'anni di onorata carriera da moglie, messo da parte un gruzzolo che quel lunedì le avrebbe permesso di comprarsi un auto e andarsene. Ed è quello che fece, nell'aprile del 1958 si comprò una Road Caster del '55 e scappò a Monterey con un addetto all'import export di marmotte impagliate. Eppure la amavo.
Scappò altre quattro o cinque volte. Ci furono anche Il Rudolph ventriloquo, Il truccatore di salme, Ottavio il pupazzo di Rudolph il ventriloquo e un tizio di Chattanooga che vendeva protesi peniene nel mercato orientale. Eppure la amavo, più di ogni altra cosa. "io voglio il meglio per me" mi disse quella volta che voleva andarsene con Reginald il podologo. E il meglio doveva arrivare da nord est in effetti, ma non fu Reginald, come sperava lei, ma un colpo d'ascia alla base del collo. La testa di Elvira mi guardò rotolando, come quando da ragazzino fai le capriole e vedi le mutande a tua madre. Poi rimase in mezzo alla stanza e morse. La tagliai a fettine sottili che cucinai con limone e rucola del Massachusetts in un delicatissimo carpaccio. Ingoiai anche la fede, (e fosti mia). Non era cannibalismo, sapete, volevo tenerla con me per sempre. E trattenni il più possibile, forse una settimana o dieci giorni. Ero in piena fase anale. Ora, pare che metalli e pietre preziose non siano digeribili, non completamente almeno. Fui ricoverato durante la notte in preda ad atroci dolori e allucinazioni, e nel bel mezzo dell'operazione di spurgo salta fuori la fede con inciso "Orazio & Elvira sposi" tintinnando in un recipiente di latta. Il rapporto del medico arrivò via fax all'agente Colica due ore dopo. Frugarono a casa e nel frigo trovarono sei alette di tacchino, due cordon bleu, frutta avariata e due polpacci in guazzetto, che dopo una accurata analisi della scientifica risultarono essere di mia moglie, Elvira Spritz Narl. L'agente Colica sorrise sulla porta facendo ciondolare le manette davanti alla mia flebo di astringente "come avete fatto a incastrarmi?" sorrise " da quello che la gente caga, si capiscono molte cose". lo diceva anche mio padre, e dovevo ascoltarlo cristo. Chi la fa l'aspetti.
al funerale di mia madre come era usanza dalle mie parti, la gente si ingozzava di ogni ben di dio. Sembrava una festa. Mio zio Ferdinand quasi si soffoca con un osso di tacchino incastrato nel gozzo, e sua moglie Martha, con le dita sporche di sugo, aveva continuato a dirmi tutto il tempo pizzicotti unti sulle guance. Alle tre del pomeriggio mio padre mi aveva trovato chiuso in un armadio a piangermi addosso e mi disse, paonazzo, con l'alito che puzzava di bourbon che l'auto commiserazione era come le seghe, faceva diventare ciechi. E poi, stringendomi forte la mano con gli occhi umidi aggiunse "Orazio, figliolo, ora che tua madre non c'è più, purtroppo non potrò mantenerti, quindi a malincuore, dovrai mantenere tu me" a dodici anni suonati, e la prima leggera peluria sulle labbra, andai a lavorare all'Emporio Prendergast. Avevo una salopette blu, e scarpe di vernice strette. All'emporio lavorava anche Marta Salznick, e a lei devo alcune delle cose più importanti della mia vita. La prima me la insegnò dopo una settimana frugandomi nella patta con le mani ruvide di sapone, e la, seppi, che con l'uccello non si piscia e basta. La seconda invece è che bisogna evitare i locali romantici al primo appuntamento perché nei ristoranti pieni si mangia molto, ma in quelli vuoti si spende troppo. Alla fine dell'anno ringraziai il signor Prendergast, presi la liquidazione e mi arruolai nei marines.
Il mio paese era in guerra con una colonia africana, e io non avevo mai visto nè una colonia né un negro finchè non dovetti sparargli in mezzo al petto. E in quei giorni sparai anche ad altre creature mai viste, come i bambini e le donne, e anche le zebre i coguari e le puttane. Anche se le zebre in verità le avevo già viste allo zoo di Richmond, quando mio padre si ostinava a dire che fossero muli dipinti. io obbedivo agli ordini, ovviamente. Quando entrammo ad Asmara in fila indiana ci sputarono addosso anche i dromedari, comunque.
al ritorno dalla guerra, io ero un reduce tossicodipendente con un tagliaunghie da sopravvivenza, e mio padre era morto. Le esalazioni degli spurghi gli avevano avvelenato i polmoni e il cervello. Gli avevano dato pochi mesi di vita, per cui raccolse quei pochi soldi che aveva, sposò un transessuale in seconde nozze a Las Vegas, in una chiesa a forma di water e con un prete vestito da Elvis che cantava "are you lonesome tonight" mentre gli si muoveva la dentiera. Una settimana prima di morire fece testamento, e mi lasciò in eredità l'autoclave per lo spurgo, un paio di galosce e la pompa con trenta metri di tubo in gomma e titanio. E fui un uomo nuovo.
Conobbi Elvira un pomeriggio di luglio, andai a sturare il condotto di scarico del monastero delle Suore del Sacro Cuore di Gesù. Per sturarlo ci vollero tre ore e mezza, e alla fine uscì un bolo di profilattici incastrati nello snodo di scarico a tre metri sotto terra. La madre superiora fu cacciata con ignominia, e adesso gestisce un sexy shop a Montego Bay. Elvira aveva una stanza in affitto nel convento, e dopo avermi visto all'opera mi disse chei trenta metri di gomma e titanio erano un buon motivo per sposare un uomo. Aveva voluto aggiungere il cognome del marito al suo, come sua madre, e sua nonna prima di lei, Elvira Spritz Narl. Il sesso con mia moglie era il supplemento settimanale alla masturbazione. E mi costava solo 15 dollari. "lo faccio per te perché sei un amico" mi diceva mentre si sfilava le calze. Ma dovevo capirlo subito, "che ci guadagno a venire a letto con te?" mi aveva detto la prima volta che mi ero fatto trovare vestito della sola cravatta nel suo soggiorno a fiori color cachi. E così era diventata una sana abitudine. Io svuotavo i miei condotti spermatici mettendoli al riparo da malattie da disuso, e lei aveva, dopo vent'anni di onorata carriera da moglie, messo da parte un gruzzolo che quel lunedì le avrebbe permesso di comprarsi un auto e andarsene. Ed è quello che fece, nell'aprile del 1958 si comprò una Road Caster del '55 e scappò a Monterey con un addetto all'import export di marmotte impagliate. Eppure la amavo.
Scappò altre quattro o cinque volte. Ci furono anche Il Rudolph ventriloquo, Il truccatore di salme, Ottavio il pupazzo di Rudolph il ventriloquo e un tizio di Chattanooga che vendeva protesi peniene nel mercato orientale. Eppure la amavo, più di ogni altra cosa. "io voglio il meglio per me" mi disse quella volta che voleva andarsene con Reginald il podologo. E il meglio doveva arrivare da nord est in effetti, ma non fu Reginald, come sperava lei, ma un colpo d'ascia alla base del collo. La testa di Elvira mi guardò rotolando, come quando da ragazzino fai le capriole e vedi le mutande a tua madre. Poi rimase in mezzo alla stanza e morse. La tagliai a fettine sottili che cucinai con limone e rucola del Massachusetts in un delicatissimo carpaccio. Ingoiai anche la fede, (e fosti mia). Non era cannibalismo, sapete, volevo tenerla con me per sempre. E trattenni il più possibile, forse una settimana o dieci giorni. Ero in piena fase anale. Ora, pare che metalli e pietre preziose non siano digeribili, non completamente almeno. Fui ricoverato durante la notte in preda ad atroci dolori e allucinazioni, e nel bel mezzo dell'operazione di spurgo salta fuori la fede con inciso "Orazio & Elvira sposi" tintinnando in un recipiente di latta. Il rapporto del medico arrivò via fax all'agente Colica due ore dopo. Frugarono a casa e nel frigo trovarono sei alette di tacchino, due cordon bleu, frutta avariata e due polpacci in guazzetto, che dopo una accurata analisi della scientifica risultarono essere di mia moglie, Elvira Spritz Narl. L'agente Colica sorrise sulla porta facendo ciondolare le manette davanti alla mia flebo di astringente "come avete fatto a incastrarmi?" sorrise " da quello che la gente caga, si capiscono molte cose". lo diceva anche mio padre, e dovevo ascoltarlo cristo. Chi la fa l'aspetti.