[ un'estate ]
-Devi andare dalla signora Carrisi, i tuoi pantaloni sono pronti.
La signora Carrisi faceva gli orli ai pantaloni, io odiavo gli orli ai pantaloni. Ma come ogni estate, non appena mettevo piede a Rocca San Severo scendendo dalla corriera, mio padre, subito dopo avermi detto "Tua madre non ti fa mangiare a te" mi rivestiva di tutto punto comprandomi un paio di jeans nuovi, delle camice a quadri e dei mocassini che mi obbligava ad infilarmi ai piedi al posto delle scarpe da ginnastica, che non facevano male all'arco plantare ed erano scarpe da ometto, diceva.
I jeans erano sempre troppo lunghi comunque, allora la signora Carrisi mi prendeva le misure con pazienza e mestiere, io stavo con lo sguardo in basso a vederla puntare spilli nella stoffa, uno lo teneva sempre tra le labbra. Quando si alzava, le ginocchia facevano uno strano rumore, allora mi arruffava i capelli e diceva: "Brutta roba la vecchiaia. Fatto..."
La signora Carrisi aveva una figlia bellissima, si chiamava Sonia. Sonia aveva 14 anni, io quell'anno ne avevo appena nove, un abisso. Quando mi incontrava in giro per il paese con mio padre, mi faceva dei gran sorrisi e mi chiedeva se la volevo sposare. E io ci credevo. E dicevo "Si". Di Sonia dicevano cose terribili in paese. Sonia fumava, beveva e scopava. Cose che nessuno ti perdona, soprattutto chi non può più farlo, o non ha mai potuto ma in fondo vorrebbe, figurarsi se sei una donna. Negli anni ho compreso che niente rende gli uomini più cattivi del confronto con chi ha avuto il coraggio di fare cose che noi, per paura, abbiamo finto di non desiderare. Ma questa è un'altra storia.
Insomma, quel giorno, nel bel mezzo di un piatto di fiori di zucca squilla il telefono, mia nonna dopo aver fatto si con la testa due o tre volte saluta e attacca.
-Devi andare dalla signora Carrisi, i pantaloni sono pronti.
Al citofono aprirono senza rispondere, salii le due rampe di scale che odoravano ancora di muffa e pasta al forno. La porta era aperta, c'era solo una tenda di stoffa colorata che sventolava appena. In sottofondo una televisione accesa. La voce di Sonia, da una stanza in fondo al corridoio disse:
-Vieni, sono qui, i pantaloni sono pronti.
Sonia stava sdraiata su un divano arancione in mezzo a buffi pupazzi di stoffa, un coniglo consumato cun un bottone al posto di un occhio e una cosa che avrebbe dovuto essere una gatta. Dietro la testa c'erano un poster di Miguel Bosè con dei cuori fatti a penna biro sopra e la copertina di un 33 giri di Baglioni attaccata con delle puntine da disegno. Sonia aveva solo le mutandine e una camicia bianca sbottonata, con una mano teneva un telecomando con cui cambiava canale senza guardare lo schermo.
- Quando sei arrivato?
-L'altroieri.
-Ti sei fatto grande, sei sempre più bello. Ce l'hai la fidanzata a Roma?
-No, cioè si...
-E lei lo sa?
- Si, cioè no...
Ride, si raccoglie i capelli dietro la nuca infilandoci una matita. Gioca con la camicia, anzi no, gioca e basta. Gioca con me, credo. La cosa che dovrebbe essere un gatto miagola e prende al volo una farfalla in una chiazza di luce, soccchiude gli occhi e volta la testa. L'aria calda soffia sulla tendina, fuori ci sono solo i corvi nelle torri e le lucertole che cambiano pelle nascoste nei buchi del tufo.
-E come si chiama questa fidanzatina che non lo sa?
-Stefania.
-Ed è carina Stefania che non lo sa?
-Si... molto.
-E com'è?
-Bionda, con gli occhi scuri.
-È Bella, come me?
-No.
-Di più?
-No.
-Bugiardo.
Continua a cambiare canale senza togliermi gli occhi di dosso, sorride, ma non è lo stesso sorriso che fa quando mi incontra con mio padre. Poi, tira su la camicia e guarda in basso. Sento il rumore della stoffa. Dalla televisione Alan Sorrenti canta " Non so che darei" con una voce improbabile.
-La vuoi vedere?
-Scommetto che Stefania "che non lo sa" questa non te la fa vedere.
Ho la febbre. Ho i jeans in mano e sento la febbre, si. Il gatto ingoia la farfalla facendo strani scatti con la testa, Sonia tira su la camicia e allarga le gambe seduta sul suo divano arancione, gli animali di pezza cominciano a ridere, Miguel Bosè scuote la testa facendo cadere una manciata di cuori a biro.
Tra le mie gambe che tremano succede qualcosa e un attimo dopo sono per le scale e corro, scappo con i miei pochi anni e con i miei pantaloni troppo corti in mano saltando i gradini con le mie scarpe da ometto ai piedi finché la luce fuori dal portone mi acceca in un getto di aria calda e cicale.
A cena non dissi una parola, tutti pensarono che non mi sentissi bene, ero paonazzo , scottavo e mi toccò di bere una sbobba effervescente e amara. Di quella notte ricordo l'aria ferma e l'immagine ossessiva di Sonia che mi fissa mentre allarga le gambe. Una parte di me, di quello che sono oggi forse arriva da quel pomeriggio d'agosto, da quella provocazione, dalla consapevolezza di un potere e di una bellezza sfacciata, da uno scherzo con le gambe aperte. La mia vita con le donne è cominciata così, scappando. E credo di non essermi mai fermato.
2 Comments:
Ci sono ragazze/donne che usano la loro femminilità come un'arma, la puntano a volte contro il mondo, a volte contro se stesse, non si sa mai quando l'arma è carica
Questa lo era, giuro. :)
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