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domenica, marzo 29, 2020

[ diner ]











La ragazza seduta due tavoli appresso al mio, tiene in mano un hot dog. Ha gli occhi socchiusi e un sorriso che appena può si apre per il primo morso, mentre lo fa, chiude gli occhi lentamente. La salsa esce dai bordi, cola sulle mani e intorno alla bocca. Si sporca, ma non gliene frega assolutamente niente. Resta ferma un secondo per la sorpresa, attende che i recettori delle papille gustative diano la risposta che il suo cervello aspetta da quando si è messa seduta. Poi, mentre le endorfine entrano in circolo, fa lievemente di si con la testa, gli occhi restano chiusi alcuni secondi e la vedo cominciare a masticare mentre il poco rossetto che le è rimasto sulle labbra disegna piccoli otto nell’aria. Muove la bocca lentamente e poi sempre più velocemente, in morsi più avidi e ripetuti. Accelera e rallenta, comanda un gioco che conosce bene, poi succhia dalla cannuccia qualcosa che fa andare su e giù la sua gola con la testa appena reclinata all’indietro. Per duecentoquaranta secondi, si dimentica dello stronzo che le ha dato buca venerdì sera, della casa che puzza di muffa, del lavoro che le da il voltastomaco e di quello che resta dei suoi fianchi appoggiati su quello sgabello. Duecentoquaranta secondi. Gli ultimi due morsi che restano sono quelli in cui non chiude più gli occhi, ma fissa quello che rimane del suo pranzo sulla punta delle dita che infila in bocca e succhia facendo uno schiocco sordo con le labbra. Beve ancora, sento il risucchio della cannuccia che cerca di pescare inutilmente qualcosa in mezzo al ghiaccio. Duecentoquaranta secondi. Poi, si pulisce le dita con un tovagliolo.

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