[blúmún]
Ricordo quelle terrazze sul mare, dove ti trascinavi tra spumanti da poco e vanitosi casquet. "Abballa?" mi dicesti, e mi lasciai abbindolare dalle lampare e dalle tette, ma non in quest'ordine, "e te credo" ti risposi. Un uomo perso in un vestito in affitto, una notte che pareva capodanno, i festoni a forma di luna calante e i papillon erano un nodo alla gola dell'orchestrina che suonava "blúmún", malissimo. La cena che sapeva di dado da brodo di giuggiole, l'aria viziata dal fiato corto e dall'odore di salmone e catrame, e poi meno tre, meno due, meno uno. La lambretta andava da Dio, sulla rotonda di Ostia diventata come un orologio "a un'ora da qui è ancora notte, e nessuno, nessuno, ballerà male come noi", pensai.
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