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giovedì, luglio 08, 2021

[ millecento ]


Con una macchina come questa, nel 1975, mio padre e mia madre mi portarono in Spagna. Un viaggio di qualche migliaio di chilometri con una roulotte Roller, attaccata con il gancio, a una media di novantacinque chilometri orari. Senza bancomat, senza telefonini, senza sapere lo spagnolo, soprattutto. Ma mio padre prima di partire per qualsiasi viaggio comprava dei vocabolari di; italiano – qualsiasi lingua al mondo. E la cosa bella era che riusciva a farsi capire. In Spagna fu facile, mettevamo la esse in fondo a qualsiasi parola e pareva funzionare. Lui guidava per ore, avrebbe potuto fare il camionista, quando era stanco si fermava, tirava giù i piedini della roulotte e ci mettevamo a dormire. Oppure mangiavamo. Dentro, c’erano un piano cottura e un lavandino con la pompa elettrica per lavare i piatti, mia madre riusciva a cucinare cose buonissime anche lì. Dentro la roulotte c’era tutto, anche il bagno, era una piccola casa bianca con le ruote e le strisce blu che attraversava l’Europa e io ero felice. Felice come non lo sono stato mai più. A Tarragona, mio padre passò sotto il ponte bassissimo di una ferrovia proprio durante il passaggio del treno e saltò via il cappellotto della roulotte. Me lo ricordo ancora, che bestemmiava, sdraiato di pancia sul tetto mentre riparava il guasto. Mio padre riparava tutto. Riparava anche me, qualche volta. Quando arrivammo a Barcellona ero emozionato e fradicio di sudore, anche se ricordo solo delle guglie altissime nel cielo azzurro, i poster e le foto di Dominguin su ogni muro libero, una donna molto magra che suonava le nacchere ballando il flamenco fuori da un locale e una ragazza con delle tette grandissime e le lentiggini che mi dava dei pizzichi sulle guance. Ero felice, sì. Senza telefono, senza bancomat, con la nostra Fiat millecento, nella casa con le ruote dove c’era tutto e la ragazza che mi pizzicava le guance. Forse è per questo che mi piacciono gli appartamenti piccoli. E le tette grandi, va da sé.


 

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